Finire sottoterra non piace a nessuno. Ed è facile capire perché. Eppure i viaggiatori curiosi di tutto il mondo fanno la coda per andare a sbirciare cosa sta sotto le zolle. E più in basso si scende più è grande l’emozione. Forse perché si sa che, alla fine, si tornerà comunque a rivedere le stelle. Ecco perché allora in molti paesi si è sviluppato uno strano turismo: quello delle miniere. Ci sono quelle scavate nelle montagne e quelle che invece puntano diritto al centro della terra. In tutti i casi l’esperienza regala il batticuore.
Basta infatti iniziare a sprofondare, anche di sole poche decine di metri, per comprendere quanta fatica e coraggio richieda scendere per cercare tesori in quell’aria satura di umidità e paura. Di freddo e di rischi. Per di più al buio. Dove purtroppo intere generazioni di uomini hanno lottato e hanno sofferto. Spesso sono morti. Ecco perché quello nelle miniere è un viaggio davvero speciale. Da compiere con un elmetto in testa. E con grande rispetto.
La miniera di sale Wieliczka (Polonia)
E’ patrimonio dell’UNESCO fino dal 1978 e sino dal XIII secolo ha conosciuto il passo dell’uomo ansioso di scoprirne tutti i segreti. E’ la miniera di sale di Wieliczka , a soli dodici chilometri da Cracovia, una delle più antiche al mondo e una di quelle che nel corso dei secoli ha saputo donare più ricchezze. Una generosità che vale ancora oggi che il sale, ovviamente, non viene più estratto. Già nota nel Medioevo (quando veniva chiamata confidenzialmente il “Grande Sale”) si estende su nove livelli, il più profondo dei quali arriva a 327 metri sotto il suolo. La rete delle gallerie si sviluppa su circa 300 km con oltre 2000 locali. Un tale labirinto è visitabile solo in parte, ovviamente: per la precisione meno dell’1%. Ma è un viaggio che non dimenticherete. Anche perché, nei secoli, i minatori oltre a scavare il sale hanno anche creato un mondo parallelo. E infatti, sotto terra, si trovano chiese e cappelle, altari e statue. La cripta più spettacolare è quella dedicata a Santa Cunegonda che può ospitare fino a 500 persone.
E vale la pena di ricordare che oltre alle pareti tutti gli elementi dell'arredo sono realizzati in sale. Chi non crede faccia la prova e lecchi ogni cosa che incontra: è salata. Ma anche i più diffidenti saranno colti da un brivido, tra le luci balenanti ascoltando le sublimi armonie di Chopin sulla riva di uno dei laghi salmastri. Prima però si percorrono circa tre chilometri di corridoi, si salgono 800 gradini e ci si avventura in oltre 130 metri di saliscendi. Durante la visita le guide svelano i segreti della miniera cerando di fare comprendere il duro lavoro dei minatori e il funzionamento delle diverse attrezzature minerarie. Non solo tecnica però: l’aria della miniera Wieliczka è libera da batteri, virus e allergeni e il sale dà sollievo a chi ha problemi respiratori. Insomma, sottoterra è meglio. E la visita diventa quasi una cura.
Info: la miniera si raggiunge comodamente in bus: i mezzi partono partono ogni 15 minuti dalla stazione Centrale di Cracovia. E a 125 metri sotto terra è anche disponibile un ristorante. La visita dura circa tre ore e richiede scarpe comode: ci sono circa 800 salini da scalare, di cui 380 subito all’inizio. Altro dettaglio: la temperatura nella miniera è costante (14-16 gradi). Per questo d’estate è meglio portarsi un maglione in più.
Sito web: www.minieradisalewieliczka.it
Miniera di sale Turda (Romania)
Sempre sale. Ma stavolta siamo in Transilvania. Dracula, bontà sua, non c’entra. Qui, nella città di Turda, a 450 km a nord ovest di Bucarest, si trova una miniera di sale che secondo i ritrovamenti è stata scoperta e utilizzata addirittura nel 50 avanti Cristo. Anche se il vero inizio dell’attività risale intorno al 100 dopo Cristo quando da queste parti arrivarono i Romani. Che con la consueta concretezza iniziarono a scavare per estrarre quello che all’epoca era un elemento prezioso quasi come l’oro (vi dice nulla la parola salario? Viene dal latino. Quando appunto i legionari venivano pagati in sale). Ora è possibile visitare la miniera (chiusa nel 1932 e riaperta nel 1992) che è stata in parte ripristinata nelle vecchie strutture come la galleria Franz Josef che sprofonda per circa 800 metri mentre altre sale sotterranee sono diventate una specie di stravagante parco gioco.
Stravagante perché a chi verrebbe in mente di giocare con i birilli a 120 metri di profondità? Qui accade. E si trova persino una ruota panoramica, appunto un campo da bowling e un anfiteatro per piccoli spettacoli mentre scendendo (con un ascensore di vetro) fino all’ultimo livello si arriva ad un suggestivo laghetto salino. Con una spesa di tre euro si può anche noleggiare una barchetta a remi e sentirsi per un po’ Caronte che traghetta verso gli inferi. Presentando un certificato medico si può accedere poi ad una grotta del sale: pare che una permanenza anche breve sia un toccasana per i nostri polmoni. Chi invece non sa mai stare zitto può godersi la “stanza dell’eco”. E’ una sorta di camera conica a 112 metri di profondità dove il suono rimbalza, sembra, all’infinito.
Info: per raggiungere la miniera Turda si può prendere un minibus che parte dalla città di Cluj-Napoca e che impiega poco più di mezz’ora. La miniera è aperta tutti i giorni e all’interno la temperatura è di circa 12 gradi. Quindi meglio coprirsi.
Sito web: www.salinaturda.eu/home
La miniera di argento di Iwami Ginzan (Giappone)
Così va il mondo. Prima sei una delle miniere più importanti nel pianeta. Poi, lentamente, vieni abbandonata. E solo grazie alla testardaggine di chi ci vive intorno e dell’UNESCO ora quei pozzi sono tornati a vivere. Stiamo parlando della miniera d’argento di Iwami Ginzan, nella prefettura di Shimane, in Giappone, che dal 2007 è diventata uno dei Patrimoni dell’Umanità. Questa struttura, che è stata una delle più importanti del paese, ha iniziato a produrre argento nel 1526 e un secolo dopo venivano estratte circa 38 tonnellate all’anno, un terzo dell’intera produzione mondiale. Poi il lento declino: il minerale era sempre più in profondità e sempre più costoso da raggiungere. Tanto che dopo quattro secoli arrivò la definitiva chiusura. Ma per noi la visita è invece assai facile e interessante anche perché, oltre che ai cunicoli che si infilano sotto terra, questa miniera-museo permette di accedere a tutto quello che stava intorno all’attività estrattiva. Le zone da vedere infatti sono tre: oltre alla zona di scavo infatti, che racchiude i pozzi, si può visitare la cittadina nata intorno al sito con un paio di musei, ricche dimore e templi. Infine, poco distante c’è il porto da cui l’argento veniva esportato, prevalentemente in Corea e Giappone. In più si trovano le rovine di un castello dove l’argento veniva usato per coniare monete: inutile dire che in quel posto, per conquistare le ricchezze, si combattè parecchio.
Info: all’interno del sito circolano delle navette che permettono di spostarsi tra le varie zone. Per raggiungere la miniera si può partire dalla città di Matsue a circa un’ora e mezzo di volo da Tokyo (e a 12 ore di treno).
Sito web: www.ginzan.city.ohda.lg.jp
La miniera di carbone di Delloye (Francia)
E’ nella Francia del nord, nella regione del Pas-de-Calais che si deve venire per scoprire uno dei distretti minerari più importanti d’Europa, dove anche tanti italiani in passato finirono a soffrire sotto terra. E se dagli anni ’80 l’estrazione è terminata le visite proseguono anche perché ora il sito è stato inserito nei Patrimoni dell’UNESCO. Il centro minerario di Lewarde, costruito sul sito dell'ex fossa Delloye, è il più grande museo della miniera di tutta la Francia e comprende i vecchi edifici industriali con i ciclopici macchinari e un reticolo di rotaie dove i carrelli spostavano la spaventosa quantità di 1000 tonnellate di carbone scavate ogni giorno. E questo senza sosta dal 1931 fino al 1972. Poi, ovviamente, ci sono i tunnel. E qui inizia l’emozione più grande: si indossa un casco protettivo e si scende su un montacarichi originale accompagnati da vecchi minatori che ora fanno da guida all’interno del pozzo numero 2. In pratica, visto che l’interno è rimasto come allora, si può avere la sensazione di quale fosse la vita in quei cunicoli arrivando a vedere anche i bagni usati dai lavoratori e le sale dove, ad esempio, si preparavano le luci da fissare sui caschi. C’è anche la sala degli impiccati: no, non pensate male. Si chiama cosi lo spazio dove i lavoratori lasciavano appesi i loro abiti prima di indossare le tute.
Info: la miniera si trova in Francia, a non molta distanza dalla città di Lille, che si raggiunge facilmente seguendo l’autostrada che collega Parigi a Bruxelles. Un’ulteriore visita in zona la meritano i terrils che si trovano a pochi chilometri da Douai. Si tratta, in pratica, di colline artificiali create ammassando le tonnellate di polvere di scorie e di carbone residuo prodotte dalla miniera. Viste le dimensioni si comprende quanto fosse prodiga di doni la miniera.
Sito web: www.chm-lewarde.com/fr
La miniera di calamina di Planu Sartu (Italia)
E’ nata nel 1869 e ha chiuso definitivamente nel 1965. Meno di un secolo ma abbastanza per dare vita ad un villaggio minerario che ospitava più di 2700 operai. E per spingere gli ingegneri a costruire un monumento alla tecnica dell’epoca come la galleria Henry. E’ la miniera di Planu Sartu, nel territorio di Buggerru, in Sardegna, dove, negli anni d’oro dell’isola trasformata in un blocco di roccia da trapanare, si trovavano quattordici siti di escavazione. Sia chiaro: tutto questo in un territorio di pochi chilometri. Quella di Planu Sartu, su un altopiano calcareo che permetteva di raccogliere la calamina, un miscuglio di minerali usato anche in farmacia, merita la visita in particolare perché al suo interno si trova la galleria Henry che serviva da collegamento tra i cantieri sotterranei e il luogo, a Buggerru, dove il minerale veniva lavato. E’ stata scavata nel 1865 e si trova a 50 metri sul livello del mare e a differenza della maggior parte degli altri tunnel delle miniere del mondo è adatto anche a chi soffre di claustrofobia. In pratica il tunnel, inciso nella dura roccia, permetteva il passaggio addirittura di una locomotiva a vapore che percorreva quella che per l’epoca era una opera da fantascienza su rotaie e che mandò in pensione i muli. Oggi è un labirinto dove non si scava più ma ci si meraviglia anche grazie ad una moderna illuminazione e a cartelli esplicativi che raccontano cosa avveniva li dentro. Non solo però: la galleria scorre sul mare e grazie a gallerie minori e passaggi ci si può affacciare nel blu. I panorami sono mozzafiato: e forse questa era l’unica consolazione per i poveri minatori di allora.
Info: attualmente le visite si svolgono con un piccolo trenino e possono essere abbinate a quelle di altre miniere del territorio ma anche alla scoperta del Museo del Minatore che si trova a Buggerru (in via Marina) vicino al porto; si sviluppa nei due piani di uno stabile che un tempo era destinato ad officina meccanica e falegnameria.
La miniera di rame di Falun (Svezia)
Adesso è un paradiso per chi ama la neve e la vita all’aria aperta. Ma per secoli Falun è stata lo scrigno del tesoro della Svezia. Situata nella contea di Dalarna, a circa 150 km dall’aeroporto di Stoccolma, questo centro minerario è stato tra i principali del paese a partire dall’ottavo secolo. E per secoli utensili da lavoro, monete ma anche le coperture dei tetti e dei campanili sono state prodotte con il minerale scavato qui. Anche per questo l’UNESCO ha voluto inserire il sito tra i suoi Patrimoni. La visita parte ovviamente scendendo sotto terra fino a sessantasei metri: e si tratta di una discesa impegnativa. La struttura, chiusa nel 1992, mantiene molti aspetti originali e quindi preparatevi a temperature basse (siamo in Svezia, no?). E si deve camminare parecchio. Meglio quindi indossare il casco e un mantello cerato e scendere a vedere gli stretti passaggi da dove per mille anni – è stata fondata nel 1080 - si è estratto un patrimonio: da qui per secoli si sono cavati i due terzi del rame usato in Europa. Un tesoro però pagato caro: per tirare fuori il materiale si usavano le fiamme vive e la vita dei minatori nei tunnel era terribile. Per riprendersi la visita poi prosegue in superficie dove si trova il Museo e parecchi edifici storici tra cui, per comodità, ci si sposta con un piccolo treno. Si tratta di una grande attrazione in Svezia tanto che ogni anno i visitatori sono più di centomila attirati dalla ricostruzione della storia delle miniere a Falun nei secoli. Una curiosità: il lavoro qui era regolato da una Carta datata 1347 che era una vera stranezza per allora. E forse anche per l’oggi. La struttura della società era infatti quella di una sorta di società per azioni.
Info: la sorpresa per chi arriva è quella di trovarsi davanti un enorme voragine. Si tratta delle conseguenze di un crollo che risale al 1687 quando la tentacolare rete di gallerie, in pratica, collassò. Ne nacque un pozzo profondo cento metri e largo quattrocento che si scende con un ascensore che arriva a 55 metri. Poi parte un circuito di circa 600 metri di lunghezza lungo il quale si visitano molte camere. Da ricordare: la parte sotterranea si visita tutto l’anno. Il museo in superficie è invece chiuso dal 1 ottobre al 6 giugno.
Sito web: www.falugruva.se/
Miniera della Bagnada (Italia)
Cercavano l’amianto. Trovarono il talco. E’ successo a cavallo degli anni ’20 in Val Malenco, nel nord della Lombardia, e per 50 anni da quelle parti Bagnada è stato sinonimo di talco. E di fatica. Il giacimento è stato sfruttato fino al 1987 anno in cui si dichiarò la fine della esplorazione. O meglio: nel 1958 un crollo fece temere la fine della ricchezza. Ma la gente di queste terre ha la testa dura. E infatti trovò ben presto, durante i lavori dopo il cedimento, un nuovo filone. La ricerca riprese fino a quando, infine, la roccia smise di essere generosa. Ma allora non sono finite le emozioni per i visitatori. Si, perché ancora oggi è possibile scendere nel buio per rivivere la vita grama di chi dei monti vedeva le radici. La visita a quello che oggi è un museo minerario si divide in tre fasi: la prima è quella più emozionante. Accompagnati da una guida si sale tra i boschi fino ad arrivare all’ingresso della miniera. Dove servono ovviamente caschi e torce. Quindi si percorre un viaggio di un chilometro nel mondo oscuro scendendo anche per scale metalliche e sostando dove restano le tracce del lavoro del passato. Siamo nelle modernità: e quindi anche sotto terra non mancano effetti speciali audio-visivi. Una volta risaliti si passa al museo minerario e a quello minerealogico: la gente del posto è assai fiera di essere nata in una valle tra quelle con la più grande ricchezza di minerali al mondo. Bene, in queste sale, si spiega perché. Con una curiosità in più: nel museo si trovano due specie di minerali praticamente sconosciuti altrove. Si chiamano artinite e brugnatellite. I nomi sono buffi. Ma è quello che accade ad essere unici.
Info: per arrivare all’ingresso della miniera a 1480 metri di altezza di devono percorrere circa 20 minuti di cammino in salita. Siate preparati. All’interno poi la temperatura è di 7 gradi: inutile dire che servono indumenti caldi. E che forse è meglio usare scarponi. Il talco è soffice: ma le miniere non si affrontano in sandali.
Sito web: www.minieradellabagnada.it/
La miniera d’oro di Central Deborah (Australia)
E’ stata operativa dal 1939 al 1954. E in pochi anni ha dato in cambio alla fatica dei suoi 357 minatori la bellezza di 930 kg d’oro. Tradotto in soldi di oggi sarebbero circa 46 milioni di dollari. E’ la miniera d’oro di Central Deborah di Bendigo, una cittadina dello stato di Victoria, in Australia, a circa 130 chilometri da Melbourne. Qui si trova la vecchia miniera che raggiunse la profondità di 412 metri con una rete di diciassette livelli e 15 km di tunnel. C’era l’oro. Ma lavorare era un incubo. Si scavava spesso con l’acqua alle caviglie e a mani nude, alla luce delle lampade a carburo, caricando carrelli che venivano poi spinti per migliaia di metri sino agli elevatori. Ma per l’epoca era all’avanguardia: alla fine del turno c’erano anche docce calde. Per chi come noi arriva oggi a visitare il sito ci sono tre livelli di esplorazione: il primo, di circa 75 minuti, porta a 61 metri sotto terra per un assaggio della vita al buio sulle tracce del metallo giallo. Più impegnativo è il tour chiamato “Avventura sottoterra”, da due ore e mezza, che scende sino a 85 metri e permette anche di fare una sosta per il pranzo. S’intende con l’elmetto in testa e in quell’ambiente cosi poco rassicurante. Infine il “Tour dei nove livelli”. Forse si parla di livelli di buio: si arriva a -228 metri e il batticuore è assicurato. Servono abiti pesanti e fisico almeno un po’ allentato. All’ultimo livello l’umidità arriva al 90% e si risale bagnati fradici. Quindi c’è la parte alla luce del sole con le vecchie strutture industriali, l’officina del fabbro e persino la sala del pronto soccorso. Anche se all’epoca, in caso di guai, le speranze erano poche.
Info: la cittadina di Bendigo offre la possibilità di assaggiare lo spirito della corsa all’oro ovviamente in salsa “aussie”. Insomma, palazzi costruiti da chi ha imbroccato la vena giusta di metallo a fianco di vicoli e stradine piene di vita in pieno stile australian style. Da non perdere il quartiere cinese: la Pasqua qui si festeggia coi dragoni.
Sito web: www.central-deborah.com
La miniera di diamanti The big hole, Kimberley (Sud Africa)
Si chiama “Il grande buco”. E quando ce la si trova davanti si capisce facilmente perché. E’ la miniera di Kimberly, in Sud Africa, e qui per una quarantina d’anni, un esercito di oltre cinquantamila minatori hanno scavato verso il centro della terra cercando un tesoro di carati. Si perché questa è stata una delle più grandi miniere al mondo di diamanti e da questa voragine sono stati estratti circa tremila chili di pietre. Per capirci qualcosa come oltre 14 milioni di carati. E, cosa non da poco, il tutto è stato fatto a braccia. Senza mezzi meccanici. Per capire meglio occorre tornare al 1872 quando a poca distanza da quella che ora è la cittadina di Kimberley un ragazzino trovò il primo diamante: era di circa 20 carati e non a caso venne battezzato Eureka. Quindi si scatenò la febbre del diamante: era però l’epoca dell’apartheid e migliaia di minatori di colore furono obbligati a scavare e morire per arrivare a trovare i brillanti mescolati alla terra. Si creò quindi questo enorme buco nella terra che arrivò, a momento di massima attività di scavo, ad una larghezza di diciassette ettari, con 460 metri di larghezza per oltre duecentoquaranta di profondità. Poi, lentamente l’abbandono. E l’acqua progressivamente occupò la voragine che ora è profonda solo, si fa per dire, centottanta metri. Resta comunque una delle più grandi fosse create dall’uomo. Ma oltre alla fatica resta anche la tragedia di tante vite spezzate dalla fatica e dalle terribili condizioni igieniche dell’epoca. Ora i resti della miniera si possono visitare ed in attesa che l’UNESCO decida se concedere al sito il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità vale la pena di girare tra le baracche del vecchio villaggio minerario dove transitava anche un tram, che è stato attivo sino al 1945, ed ora sbuffa solo per portare i turisti affascinati dalla ricostruzione di quel mondo perduto. Sono ancora in piedi una cinquantina di case col tetto in lamiera tra cui si notano ancora i negozi, la chiesa e persino una sala da ballo. Per chi non si rassegna c’è anche la possibilità di provare a frugare tra la sabbia cercando frammenti di diamanti: si paga una concessione di 25 centesimi e si può sperare. Attenzione: la fatica è parecchia. Ma scordatevi di incappare nel Cullinam. Fu trovato nel 1905: era 3100 carati, più grande di un’arancia.
Info: Kimberly si raggiunge in bus o aereo da Città del Capo e nella cittadina si trovano diversi hotel. Il museo del “Big Hole” è comodamente visitabile anche da gruppi e ci sono visite guidate al prezzo di pochi euro dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 16. Nel fine settimana le visite sono ridotte. Nei dintorni è possibile visitare anche altre miniera in cui sono organizzati i cosiddetti “underground tour”: nella Bultfontein mine, a circa 5 km, si scende con gli ascensori fino a 800 metri di profondità. Chi non ama stare al chiuso si prepari ad un certo batticuore.
Sito web: www.thebighole.co.za
Miniera d’oro Old Hundred Gold Mine, Silverton, Colorado (Stati Uniti)
E’ la classica situazione da corsa all’oro da film western. Se volete sentirvi a vostro agio non dimenticate gli stivali a punta, il cappello a larga tesa e un ghigno alla John Wayne. Non temete: siete in Colorado. Qui nessuno vi troverà fuori luogo.
D’altra parte per vivere fino in fondo l’esperienza di questa vecchia miniera d’oro è giusto immedesimarsi: altrimenti come farete a salire sul vecchio trenino che vi porterà sotto terra? Per arrivare alla vecchia miniera si segue una strada dissestata che costeggia il corso del torrente Silverton: dopo cinque miglia di buche ecco la miniera nata nel 1872 quando un manipolo di immigrati tedeschi iniziò a scavare. Spuntò l’oro: e dopo nulla fu più uguale. Per decenni qui nacque una città. Sotto il monte si scavava la roccia e sopra si costruivano case, saloon e depositi. Si dice che durante l’inverno, quando la neve bloccava i lavori, si mettessero in scena anche opere liriche. Per il resto era fatica di chi ha inseguito le vene di metallo giallo fino a decine di chilometri di tunnel. Tutto andò avanti fino al 1973 quando la realtà dei conti cancellò la febbre dell’oro. Estrarre il minerale costava più che rivenderlo. Il sito fu abbandonato, le case abbattute. Restò il ricordo e quel gomitolo di tunnel che ancora oggi si possono visitare appunto su un trenino: ricordate che sotto terra fa freddo (sono circa 10 gradi) e quindi vi verranno forniti un giaccone impermeabile e un cappello. Poi si parte per un viaggio di circa un’ora per circa 700 metri sotto la superficie. Quindi si prosegue a piedi con la guida di ex minatori che spiegano, con passione, quella che era la vita quotidiana tra le gallerie e mostrano gli impianti dell’epoca.
Prima di scendere imperdibile la sosta nella zona di ricerca: usando i vecchi setacci si potrà provare a scuotere la sabbia pescata nel fiume per cercare le pagliuzze. Di oro, pare, non se ne trovi molto. Ma l’argento invece è assai più comune. Costa meno ma raccolto di persona vale un tesoro.
Info: la visita è possibile sette giorni su sette tra maggio e ottobre e costa circa 20 dollari a testa. Ricordate che la zona di Silverton, che non è certo una metropoli - ha 500 abitanti- , è a poca distanza dalle pista da sci e a circa 3000 metri d’altezza. L’inverno non è la stagione migliore per cercare di raggiungerla.
Sito web: www.minetour.com
Miniere del Cerro Rico, Potosì, Bolivia
I minatori che ancora oggi sputano i polmoni, letteralmente, sotto la roccia del Cerro Rico dicono che con l’argento scavato si sarebbe potuto costruire un ponte lungo fino a Madrid. Se sia vero nessuno lo sa: ma due cose sono certe. Da queste montagne sono uscite ricchezze incommensurabili. E quasi nessuno di coloro che l’hanno estratte si è arricchito. Anzi, chi scende in miniera ancora oggi sa di avere poco tempo. Dopo dieci anni di lavoro la silicosi è assicurata. Non solo: l’ingresso delle miniere, sono decine, è a circa 4000 metri d’altezza e la temperatura è intorno agli zero gradi. Sei livelli più sotto, nelle viscere del mondo, si sfiorano i 40 gradi. Ecco perché è una visita nelle miniere di Potosì è una esperienza estrema: fisicamente e psicologicamente. Ricordatevelo, se non siete in forma e soffrite di claustrofobia non fa per voi. Per chi se la sente invece basta rivolgersi ad una delle tante cooperative di minatori che vi condurranno con loro sotto terra. Le visite durano circa 4 ore e iniziano al mercato dove i minatori comprano acetilene per le lampade e dinamite. Voi regalate foglie di coca (sono legali, non temete) e sigarette per i minatori e seguiteli sino a dove si scende. Nel biglietto sono compresi giacca, stivali e lampada per vederci sotto terra. Un dettaglio: la visita è una esperienza che non dimenticherete ma sappiate che dovrete firmare una liberatoria. Le miniere del Cerro Rico non sono un posto sicuro: il rischio di un incidente c’è sempre. In più una visita normale prevede qualche chilometro di cammino con alcuni passaggi dove si dovrà strisciare. I minatori che vi accompagneranno sapranno raccontarvi cosa significa vivere una vita come questa. Una volta tornati a rivedere le stelle regalatevi una doccia e salite sul campanile del convento di San Francisco. Il panorama è splendido. E dall’alto sembra impossibile che sotto terra brulichi così tanta vita.
Info: Potosì è dal 1987 Patrimonio dell’UNESCO grazie alla sua storia legata appunto alle miniere. Per raggiungerla ci sarebbe un aeroporto (il più alto al mondo) ma al momento non ci sono voli. Ci sono però bus che la raggiungono in otto ore da La Paz e in tre ore dalla città di Sucre. Ricordate: siete a oltre 4000 metri. Quindi scegliete alberghi di fascia medio-alta. Non per fare gli snob: ma solo perché quelli più economici non hanno il riscaldamento. Rischiate di congelare.
Sito web: www.potosimarcopolo.com.bo