Tour tra i castelli del ducato di Parma e Piacenza

Mostra tutte le foto » Emilia-Romagna

Condividi Luca Pelagatti

03/05/2021

Scegliete la musica adatta. Il sottofondo è importante. Lo sarebbe ovunque, certo, ma da queste parti, per un viaggio tra il Grande Fiume e i castelli di Parma e Piacenza, l’accompagnamento vale doppio.
Non è un caso che queste siano le terre di Verdi, che per molti siano le terre del melodramma e che poco lontano da qui sia nata tanta musica anche dei giorni nostri.

La via Emilia è vicina, il West è lontano. Ma l’immaginario per cui bastano due accordi per partire verso altri mondi qui ha solide radici. Per cui piazziamo il cd giusto, che sia “La forza del Destino” o “Certe Notti” nello stereo, mettiamo in moto la nostra auto noleggiata a Parma e andiamo a scoprire quella che Giovannino Guareschi, il papà di Peppone e Don Camillo, altro figlio celebre di queste zolle descrisse così: “un pezzaccio di pianura dove il sole picchia in testa come un martello d’estate e la nebbia cancella il mondo a pochi metri dal tuo naso durante l’autunno”. Detto così può apparire terribile: ma Verdi e Guareschi sarebbero pronti a tuonare in coro che, no, non è vero. È bello proprio perché è così.

Il punto di partenza del nostro viaggio, idealmente, lo fissiamo dall’acqua. S’intende del Po: i castelli di Parma e Piacenza, almeno quelli che aderiscono al Consorzio che ne raggruppa la gran parte sono ventiquattro e sono sparsi in ampio territorio che parte, appunto, dalla Bassa, verso il fiume, fino alle balze dell’Appennino.

Una varietà di scenari che si ritrova anche nelle forme e nelle strutture di rocche e palazzi: ci sono quelli sul cucuzzolo di un colle e quelli piazzati nel bel mezzo di un paese, quelli che troneggiano con torri e merli pronti per l’assedio e gli altri dall’aspetto più pacioso di palazzi nobiliari. Dove si respira più l’arte del ben vivere che quella della guerra.
Lo snodo del nostro itinerario è Parma, luogo dove mettere in moto l’auto anche se si è arrivati da queste parti in treno o in aereo. Poi il resto lo fanno le strade. Ecco: le strade sono importanti e meritano un commento. Si tratta spesso di provinciali che sembrano disegnate da un bimbo dispettoso. Nel bel mezzo del nulla ci piazzano una curva a gomito e chi si distrae è perduto. Ma anche questo fa parte del viaggio: un filo di gas sotto i piedi e gli occhi aperti. I castelli e la loro bellezza di pietra ci aspettano.

Per il nostro viaggio, abbiamo detto, partiamo dalla Bassa: puntiamo a Roccabianca.
Da Parma prendiamo l’Autostrada del Sole e andiamo a nord. A Fidenza lasciamo le tre corsie e prendiamo le provinciali. Il tempo e il panorama sarà diverso, tra distese di campi e argini di canali. I pioppi sono come le pietre miliari del nostro andare.
Poi, dopo 29 km, nel centro del paese di Roccabianca ecco la Rocca: risale al 1450 e come molti altri nella zona non è un palazzo. Ma una promessa d’amore in pietra e mattoni. Fu fatto costruire da Pier Maria Rossi per Bianca Pellegrini. Lui era un condottiero, lei la dama di compagnia di Bianca Maria Visconti, oltre che moglie di un certo Melchiorre. L’amore vince: e i due vissero insieme. Per lei il Rossi fece costruire molti castelli; quello di Roccabianca, e il nome lo svela, è uno di quelli.

È un castello di pianura, con torrioni che dovevano essere minacciosi; ora non fanno proprio nessuna paura. Si può visitare da marzo a dicembre anche perché all’interno c’è il museo di una nota distilleria della zona. Tra un affresco e l’altro ci scappa pure un goccetto. I restauri abbastanza recenti, dopo decenni di colpevole abbandono, hanno riportato alla luce affreschi e decori tra la sala dei Feudi e quella dei Paesaggi. Il tema dominante però è una novella del Boccaccio. Forse per essere in tema nelle cantine riposano i culatelli.
Voi visitate le sale e godetevi la tronfia possanza del mastio centrale. Poi fate due passi intorno nelle strade del paese: si respira una placida atmosfera d’altri tempi se non fosse per i tanti indiani sikh che passano in bici. Lavorano nelle stalle intorno dove nasce il Parmigiano: per loro la mucca è un animale sacro e tutti sono contenti. Anche noi che riprendiamo il viaggio. Un principe e un fantasma ci attendono.

Il nobile è Diofebo Meli Lupi di Soragna, principe del Sacro Romano Impero e Grande di Spagna, ma per le strade del paese gira in moto da cross e abita il castello come fosse un attico in centro.
Il fantasma è quello di Cassandra Marinoni, nota come Donna Cenerina, uccisa dal cognato nel 1573. Da allora è passato molto tempo ma lei, evidentemente, non si da pace. Il castello invece, che si raggiunge in meno di un quarto d’ora – sono solo 13 km sulla provinciale 59 – è splendido, in mezzo al paese che già coi suoi portici e le strade acciottolate regala buonumore.
Costruito nel 1385 è stato trasformato nel palazzo che ora vediamo tre secoli dopo e all’interno c’è tutto quello che ci aspettiamo: arredi antichi, specchi, affreschi e grottesche, scene da film in costume. La visita del castello che è aperto tutto l’anno con orari variabili (www.roccadisoragna.it) permette di passare tra le sale d’Ercole e quelle degli stucchi fino a quella del trono. C’è anche la cappella privata: a casa di un principe non manca nulla. Neppure il parco, è ovvio, con il lago dall’acqua scura e le serre. E quando la foschia avvolge la Bassa il tempo sembra tornare indietro.

Noi no, noi andiamo avanti. Il viaggio ci reclama e la strada è stavolta più lunga. Non di troppo, per carità: la prossima tappa ci porta a Colorno.
Sono 26 km da bruciare senza fretta sulle provinciali 50 e 43 in direzione est per poco più di mezz’ora che in realtà diventerà parecchio di più perché a metà strada ci concederemo una sosta anche nel paese di San Secondo. Non una pausa a caso: anche qui c’è un castello, la Rocca dei Rossi (controllare per orari di apertura www.cortedeirossi.it) e c’è un altro tesoro.
Qui si produce la celebre Spalla Cotta che merita senz’altro un assaggio. Per cui, dopo una visita al palazzo che fu di una famiglia importantissima che si fece incensare negli affreschi all’interno, puntate verso una delle tante trattorie della zona. Perché questa terra ricca e fortunata ama la storia e l’arte. Ma anche alla gola dona lo spazio che merita.

Rifocillati possiamo ripartire verso Colorno dove si trova non un palazzo o un castello, ma una vera e propria Reggia. No, nessuna esagerazione. Come si può chiamare un luogo che fu abitazione per i Farnese, i Borbone e Maria Luigia d’Austria, che racchiude circa 400 stanze, cortili e scaloni, che come fossato ha un torrente e il cui giardino alla francese si prolunga per centinaia di metri?

Una reggia, appunto, che può essere visitata, così come il giardino, attraverso visite guidate (reggiadicolorno.it) che passano per le stanze dei piani nobili e gli spazi del Duca Ferdinando di Borbone dove, da qualche tempo, sono stati riportati anche parte degli arredi dispersi nel tempo.
Sì, perché la vita dei palazzi è come quella degli uomini. Ci sono alti e bassi, periodi di crisi: la nostra Reggia di Colorno ne ebbe uno terribile quando, alla fine dell’800, qualche scriteriato decise di usarla come sede del manicomio. Inutile dire lo sfacelo. Ma negli ultimi decenni è stato tutto cancellato e ora è tornata ad essere la piccola Versailles che è stata per secoli. Con arazzi, affreschi, saloni e atmosfere da balli in crinoline. E, per non farsi mancare nulla, in un’ala ospita anche la sede di Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana. Il rettore è Gualtiero Marchesi e gli chef di tutto il mondo fanno la coda per venire a imparare cosa significhi mangiare tricolore, mentre dal nostro paese c’è chi vuole venire a sposarsi in queste sale. Un matrimonio tra storia, passione e gusto: e non c’è nulla di meglio.

Noi però non siamo mai sazi e siamo pronti a ripartire. Ora la strada porta verso nord avvicinandoci alla città di Parma con un tragitto di una ventina di chilometri. Il punto di arrivo stavolta è Fontanellato e quella che ci troveremo davanti è una delle immagini più suggestive che si possano immaginare: la Rocca Sanvitale.
Pensate a un castello con i merli e le torri circondato da un fossato pieno di pesci e abbracciato da un borgo con i portici, le antiche case e scorci da racconto di Guareschi. Vi pare molto? No, è ancora poco. Perché il bello deve venire.
All’interno del castello (sempre visitabile: www.fontanellato.org) si trovano altri tesori: a partire dall’unica camera ottica esistente in Italia, una quasi stregoneria per il Rinascimento, per arrivare alla sala dove è raccontata la strana storia di Diana e Atteone. L’autore è un pittore della zona abbastanza conosciuto: il Parmigianino.

Il maniero nacque intorno a una torre del 1100 che piano piano venne ampliata e trasformata nel castello attuale che ancora ha il ponte levatoio (non si alza più, però).
Ora il castello non è più casa dei nobili Sanvitale e si può entrare a scoprire le sale e le tante bellezze tra cui un drappo rosso. Non è certo, ma pare sventolasse su una galera che combattè contro i Turchi nel 1500. E il Mediterraneo sembra assai lontano visto dai bar sotto i portici di Fontanellato. Già, perché qui verrebbe voglia di fare una lunga sosta e rilassarsi, pensare a tutto ciò che queste pietre hanno visto e quanta vita hanno conosciuto. E il viaggio allora, sarebbe un salto nel tempo e nella storia. Ma noi non possiamo, abbiamo da percorrere 35 km per arrivare al prossimo castello. Quello di Ladyhawke. Sì, proprio quello del film con Rutger Hauer e Michelle Pfiffer. Perché anche Hollywood sa dove cercare le cose belle.

Noi seguiamo la provinciale 49, attraversiamo la via Emilia – e quindi lasciamo la Bassa parmense per passare nella zona pedemontana – e dirigiamoci verso Langhirano, la patria del prosciutto di Parma.

Per arrivare sfioreremo il paese di Felino (qui invece si produce il salame Igp e c’è anche un castello: ma è privato) e poi sbucheremo, dopo circa 50 minuti e avere percorso la SP32 ai piedi del castello di Torrechiara.
Anche qui si parla, oltre che di cinema, d’amore. Infatti è un altro dei castelli fatti costruire da Pier Maria Rossi per la solita Bianca Pellegrini tra il 1448 e il 1460. Fateci caso: a una prima occhiata sembra il modello del castello perfetto, quello che ogni bambino vorrebbe disegnare. E di cose da colorare ce ne sono: si sale a piedi lungo una ripida strada e si arriva ad un borgo cintato da mura dove tutto è rimasto come al Medioevo (beh, non tutto: ora c’è anche un ristorante e una rivendita dei vini della zona). Poi si passa sotto il portone fortificato e si percorre il tragitto degli armigeri a cavallo. Anche se poi, all’interno, regna l’armonia, non certo la guerra. Le sale sono affrescate e in particolare la più straordinaria è la Camera d’Oro, quella dove è stato raccontato l’amore tra Pier Maria e la bella Bianca. Il tono forse per noi è un po’ pomposo ma lascia a bocca aperta e appunto, è stato usato come fondale per molti film.


Le belle storie di passioni meritano scenari adeguati. Dopo la visita anche per questo non andate subito via: piuttosto concedetevi una passeggiata sulle colline alle spalle del castello dove avrete scorci splendidi delle torri che spuntano dai vigneti. Qui si producono i Vini dei Colli di Parma. Un brindisi ai nostri amanti ci starebbe proprio bene.

Ma adesso cambiano zona e anche provincia. Partiamo per Piacenza.
Per raggiungere la nostra meta, il borgo di Vigoleno, torniamo verso Parma (dove potrebbe essere una buona idea visitare il centro e il complesso della Pilotta: non è un castello, ma un vero palazzo che ospita la Pinacoteca Nazionale e quella perla che è il Teatro Farnese). Quindi seguiamo la via Emilia fino a sorpassare Fidenza e il suo splendido Duomo romanico, e quindi, dopo Alseno, svoltiamo verso Vigoleno.

Sono 60 km per poco più di un’ora di viaggio, ma la ricompensa ci aspetta poco più avanti. Il borgo di Vigoleno infatti è un gioiello fortificato arrivato integro dal passato sino ai giorni nostri. È uno scrigno di pietre a forma di ellissi circondato da mura sulle quali si può ancora camminare e godersi la vista sulla valle dello Stirone che si trova ai suoi piedi. Non a caso è considerato tra i borghi più belli d’Italia.
Si entra da una sola porta, ovviamente fortificata, e poi si può vagare tra gli stretti vicoli e le piazzette dove nelle giornate più tranquille sentirete solo il suono dei vostri passi. Dall’altro lato del borgo c’è la chiesa di San Giorgio. L’itinerario per la visita sceglietelo voi: in ogni modo lo ricorderete a lungo. Quindi, prima di uscire, dedicate le ultime forze al mastio e al torrione. La pianura sotto vista tra le feritoie e i merli ghibellini sembrerà molto diversa (il borgo ovviamente è sempre visitabile, mentre il mastio ha orari differenti a seconda dei periodi).

Stanchi? Ci riposeremo tra poco. Non è lontana infatti la prossima tappa: la Rocca Viscontea di Castell'Arquato, che sovrasta la Val d’Arda.
Un tempo infatti il borgo controllava il passaggio da e per la pianura, mentre oggi vede arrivare i turisti in cerca di suggestioni e sapori tradizionali. Una tradizione che ha resistito a lungo: fino a non molti decenni fa qui tutto era rimasto come nel lontano passato e solo di recente il paese ai piedi del castello si è sviluppato. Ma noi puntiamo in alto e inerpichiamoci tra quelle strade acciottolate e tutte curve.

Fu costruito alla metà del 1300 dai Visconti e, guerra dopo guerra, arrivò agli Sforza e al Ducato di Parma e Piacenza. Noi ringraziamo che nessuno abbia manomesso questo luogo d’armonia e passeggiamo un po’ intorno tra la rocca e il Palazzo del Podestà, tra il battistero e il Palazzo del Duca. In ogni angolo uno scorcio, ogni curva una sorpresa. Ma un'ennesima scoperta ci attende: andiamo a vedere il più antico castello della provincia di Piacenza: la Rocca d’Olgisio.

Per raggiungerla dobbiamo percorrere una sessantina di km prima in direzione di Piacenza e poi verso Pianello Valditone, oltre il Trebbia. Quello che troveremo è una rocca incastrata nella pietra che controlla il corso di due fiumi. E lo fa dall’anno Mille.
Dopo qualche secolo Gian Galeazzo Visconti donò la fortezza a un suo valoroso comandante che la fortificò ulteriormente. Non doveva essere facile da espugnare, visto che è circondata da sei serie di mura che portano i segni del periodo di costruzione.
Ancora oggi può essere visitata (è aperta da marzo a ottobre - www.roccadolgisio.it) e durante il percorso si passa nei vari locali che compongono il massiccio mastio fino ad arrivare una loggia dove ammirare il panorama; nel ‘500 serviva per controllare il passaggio, oggi per godere la vista. Intorno, infatti, c’è tanto verde, dentro armature e volte affrescate. Quindi, dopo avere ammirato le sale e gli arredi, tornate a guardare quello che vi circonda e se potete, come abbiamo detto all’inizio, sceglietevi un sottofondo adatto da ascoltare in cuffia.

Forse Verdi può andare bene, ma sentitevi liberi e se preferite optate pure per il rock. D’altra parte è logico: il rock sta bene con la roccia, e i castelli con la pietra vanno d’accordo da sempre. Come con la storia, le emozioni. E dopo averne ammirata tanta, anche con la bellezza.

Ti piace viaggiare? Visita anche il nostro canale dedicato agli itinerari in Emilia-Romagna.

Seguici anche su
Leggi anche ...