Tour tra le ville vesuviane visitabili più belle

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Condividi Luca Pelagatti

17/08/2020

La colpa o – se preferite, il merito – è suo, del Vesuvio.
Sì, il vulcano bizzoso e cattivo che ha distrutto Pompei ed Ercolano – e cosi ci ha però regalato la più struggente emozione archeologica del mondo – ci ha lasciato anche questa come eredità: le ville che portano il suo nome. E scusate se è poco.

Già, perché tra le mille cose belle che Napoli e i suoi dintorni sanno offrire ai noi che amiamo viaggiare ci sono pure le magiche ville che la storia ha di fatto dedicato al Vesuvio. E che, lo abbiamo detto, proprio al fascino del vulcano, devono la propria nascita.
Un po’ confuso? Per nulla. Basta mettersi un po’ comodi, prendersi un caffè – in fondo siamo a Napoli, no? – e disporsi ad ascoltare.
Questa infatti è una storia che risale al passato, per la precisione al 1700, e  ha come protagonisti teste coronate, principi e il nostro vulcano. Nel 1738, infatti, Maria Amalia di Sassonia andò in sposa per procura a Carlo di Borbone, che reggeva il trono di Napoli. La regina, nata a Dresda e quindi d’indole e formazione nordica, come primo atto nella nuova terra d’adozione pestò i piedi e disse che le serviva una nuova reggia, scegliendo Portici come sede.

Non solo: quella fu l’occasione anche per iniziare a scavare per svelare al mondo una città perduta.
Si chiama Ercolano e pochi anni dopo toccò a una seconda località: la chiamano Pompei. Dal centro di Napoli a Portici sono dieci chilometri appena, ma bastarono a scatenare una piccola rivoluzione: intorno alla nuova reggia, e a due passi da quegli scavi, tutti i nobili napoletani vollero costruire le loro ville.
Un po’ per essere vicini al sovrano e molto per mostrare la loro ricchezza. Ed ecco il regalo del Vesuvio: nacquero così 122 palazzi monumentali – sparsi oggi sui territori comunali di Napoli, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco – e progettati da quelle che erano le archistar dell’epoca come Vanvitelli e Sanfelice. Insomma: Ercolano e Pompei sotto terra, la reggia al centro, le ville intorno e il vulcano a fare da sfondo. Capite perché è al Vesuvio che dobbiamo dire grazie?

Ecco allora che dopo aver reso grazie al capriccioso monte fumante ci prepariamo per andarle a visitare. E sarà una sorpresa continua.
Per arrivare qui con un’auto a noleggio dall'aeroporto di Napoli  saranno sufficienti una ventina di minuti seguendo la A3 e uscendo a Portici- Bellavista. Da li, svoltando verso piazza San Ciro arriveremo alla reggia. Punto di partenza del nostro viaggio tra le ville vesuviane.

La Reggia di Portici, la terza fatta costruire dal re, è splendida ed è visitabile dal lunedì al sabato e il bello è che lo splendore si nota sia all’interno sia all’esterno. Dentro le stanze dei sovrani e il museo di Ercolano; all’esterno il parco e i boschi. Non a caso è considerato una dei palazzi estivi più belli d’Europa anche grazie alla sua collocazione proprio sotto le pendici del Vesuvio.

Dietro il monte, davanti il mare: a noi in mezzo resta la meraviglia.
Il cammino è lungo e occorre proseguire: ed è facile farlo visto che da qui parte quello che al tempo fu chiamato Miglio d’Oro, ovvero quel tratto di strada su cui, appunto, sorsero le ville della nobiltà partenopea. Che si sfidarono a colpi di palazzi sempre più maestosi.
Nel momento di massimo splendore furono tantissimi e ancora oggi sono censiti e inseriti nel catalogo dell’Ente preposto alla loro tutela e salvaguardia. Già, tutela. Perché qui serve una piccola digressione storica: è solo a partire dal 1971 che si decise di salvare il salvabile delle ville profanate e devastate da secoli di abusivismo, bombardamenti americani, speculazione edilizia e miopia. Adesso molte delle ville – non tutte sia chiaro – sono state ripristinate e alcune sono visitabili. Come la prossima dove stiamo andando.

La nostra meta è sempre a Portici, in corso Garibaldi, ed è Villa Savonarola, costruita nel 1850 e ora sede del Comune che vi ospita la biblioteca e vi celebra i matrimoni.
Lo stile è neoclassico, i colonnati non mancano, i fregi e gli affreschi rendono tutto più austero e il bello è lasciare la strada trafficata per percorrere il viale che conduce alla facciata principale. Dettaglio utile: essendo un palazzo comunale ha ampi orari per essere visitato.
Tornando a percorrere le strade della cittadina passeremo dinnanzi ad altre ville, come ad esempio Palazzo Ruffo di Bagnara diventato un condominio, o la non lontana Villa Zelo, ripristinata in parte dopo il terremoto.

Quindi è ora di andare oltre e spostarci verso il territorio di Ercolano dove molte sono le ville e alcune decisamente meritano la sosta.
Le prime saranno Villa Campolieto e Villa Favorita, due tra le più belle del nostro vagare.
La prima fu fatta costruire a partire del 1755 dal Duca di Casacalenda che non badò a spese creando una specie di archetipo del genere. Non a caso è tutelata come Monumento storico ed è la sede della Fondazione Ente per le Ville Vesuviane oltre ad ospitare eventi e convegni ed essere stata fondale per parecchi film. Il duca ne sarebbe fiero. La seconda fu fatta costruire dal Principe Stefano Reggio d'Aci.


La villa è splendida per gli interni maestosi e soprattutto per un arioso colonnato che si staglia sullo sfondo del mare. Peccato per le case cresciute intorno: decisamente non all’altezza dei re.
Proseguendo arriviamo, sempre lungo via Resina, che poi non è altro che l’antico Miglio d’Oro, alla Real Villa della Favorita (per gli amici solo Favorita) che porta la firma di Ferdinando Fuga.
Per capirne il valore basta dire che quando il duca che la fece costruire passò a miglior vita fu ereditata direttamente dal Re Ferdinando IV di Borbone che la uso come residenza reale e la battezzò appunto come Favorita: perché era una di quelle che amava di più.
Poi il tempo è passato, la villa è diventata patrimonio dello Stato ed è stata usata per gli scopi più diversi. Ora, per fortuna almeno lo splendido parco inferiore è stato ripristinato e riaperto alle visite così come la Casina del Mosaici. Ma è meglio informarsi. Orari e giorni di apertura sembrano non essere definitivi.

Andiamo avanti? Il Miglio d’Oro è ora difficile da riconoscere in un contesto urbano così confuso e intensamente abitato ma le ville ci sono ancora. Basta andarle a scoprire e magari immaginare lo scenario che vide il solito Goethe quando venne da queste parti a prendere appunti, farsi tramortire dal panorama romantico e godersi i pennacchi lontani del Vesuvio.
Una di quelle che si possono ancora scorgere è Villa Ruggiero, a poca distanza da corso Resina, e quindi dal solito Miglio d’Oro, che è una delle più piccole, rispetto ai palazzi monumentali, ma non per questo meno ricca di fascino grazie anche al buono stato di conservazione e alle decorazioni. In più ora ospita uffici comunali e quindi è più agevole visitarla magari soffermandosi a notare un dettaglio: come in tutte le ville della zona c’era il posto per un busto di San Gennaro che stranamente guardava sempre verso il vulcano. Perché, si sa, del vulcano è meglio fidarsi. Ma non troppo.

Lo sapevano allora e lo si dovrebbe sapere oggi, ma per noi poco conta.
Proseguiamo il viaggio verso sud, da Portici a Ercolano a Torre del Greco anche se prima una deviazione verso San Giorgio a Cremano permette di scoprire altre ville.
Tra queste sicuramente Villa Bruno, in via Cavalli di Bronzo, che un tempo fu proprietà della famiglia Monteleone ma oggi è uno dei centri culturali della zona grazie alla presenza di uffici comunali ma anche come location per eventi. Tra cui, visto il luogo, merita di essere ricordato il Premio Troisi.
La costruzione è neoclassica, separata dal rumore della strada da un muraglione e all’interno regala ancora suggestioni antiche grazie al gioco di prospettive e al viale che un tempo attraversava il parco. Era una casa di vacanze estive per nobili, ora un palazzo pubblico per la gente della citta. Ma certi vezzi da principessa come i fregi sui soffitti o le porte antiche non li ha perduti.

Non ha perso la sua imponenza e il fascino anche Villa Vannucchi, sempre a San Giorgio a Cremano, che porta il nome della famiglia che la possedette nel 1900, anche se in realtà fu fatta erigere nel 1750 circa da un certo Giacomo d'Aquino di Caramanico.
Il nome già suggerisce il lignaggio ma questi era addirittura il gentiluomo di camera di Carlo di Borbone. Un luogo quindi di splendore e lusso che visse però il degrado quando dopo il terremoto del 1980 fu in parte occupato e il parco trasformato in orto. Ma tutto è passato: acquisita dal Comune, è stata restaurata ed è una delle più imponenti e affascinanti tra le ville vesuviane grazie al giardino e all’eleganza della facciata. Non a caso qui Gioachino Murat era di casa e organizzava feste affollatissime. Adesso è ancora frequentata dalla gente del luogo che ne vive il parco e verso sera in tanti fanno jogging. Ed è buffo pensare che un tempo qui viaggiavano le carrozze.

Un salto nel passato che questi palazzi spesso regalano anche se è un peccato che molti oggi risentano cosi tanto del trascorrere del tempo. Ma non è così invece per una delle protagoniste del nostro viaggio, ovvero Villa delle Ginestre.

Siamo proprio sotto le pendici del Vesuvio, sempre lui, e di fronte c’è il golfo di Napoli.
Era una casa rustica, come si diceva allora, ovvero una casa estiva di vacanza di un professore di teologia del ‘600. Si può dire che non si trattasse male. Non solo: si circondava di gente importante della vita napoletana dell’epoca tanto che per renderla all’altezza delle frequentazioni ci si mise mano persino il mitico Luigi Vanvitelli.
Può bastare? Per nulla. Perché questo palazzo ebbe un ospite tra i più celebri. E quello che ne derivò lo studiamo ancora a scuola.
Qui, infatti, intorno al 1830 venne a abitare Giacomo Leopardi che scrisse in queste sale, tra l’altro, proprio “La Ginestra”. Poesia e architettura, natura e parole: se volete vederle fondersi insieme questo è il posto giusto tanto che già nel 1937 la villa divenne Monumento nazionale e che adesso appartiene alla Università di Napoli. Ora, ad essere onesti fino in fondo, questa villa ha caratteristiche diverse da molte altre che compongono il Miglio d’Oro, ma è diventata di fatto uno dei simboli di questa serie di monumenti.
Anche se si presenta solo con una semplice pianta quadrata neoclassica riesce ancora a sbalordire non foss’altro perché davanti alla casa c’è ancora un cipresso. Risale all’epoca di Leopardi; qui sotto forse il poeta scrisse i suoi versi guardando il golfo.

Quel mare che, è giusto dirlo, è l’altro protagonista di questo viaggio, insieme al Vesuvio. Qui la storia ha giocato e distribuito fortune e tragiche cadute, visto passare i cortei dei re e le vite grame della gente del popolo mentre il sole di questa terra ha dato colore ai panorami: perché il Miglio d’Oro, all’inizio, aveva questo nome non per le ricchezze dei duchi, ma per il brillare degli alberi di limoni e mandarini.
Il mare e il vulcano ci sono sempre stati e ancora accolgono chi, come noi, scende dall’auto e si guarda intorno. Anche senza essere re, qui, ci si sente, comunque, sempre un po’ più fortunati.

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