La regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra è terra d'antiche tradizioni, che nel periodo natalizio creano un atmosfera magica. Dal 4 dicembre, Santa Barbara, al 2 febbraio, la Candelora, quasi due mesi sono dedicati agli eventi più intimi e familiari: la preparazione del presepe, la messa di Mezzanotte, il "gros souper" della vigilia, le pastorali... E' impossibile non lasciarsi "prendere" dalle magia del Natale, riscoprendo le radici comuni, rielaborate nella regione in maniera originale.
Niente di meglio allora che scoprirne le differenze lasciandosi coccolare dal calore natalizio, assicurandosi la fortuna portata dalla degustazione dei tredici dessert tradizionali mentre ci si perde nell'acquisto di pezzi d'artigianato unici. Corsi di cucina, mercatini di Natale, feste tradizionali saranno la gioia di ogni turista, e non solo! Tra i documenti qui si seguito suggerimenti e idee su dove andare, cosa fare, cosa gustare per non perdere nulla del Natale in Provenza-Alpi-Costa Azzurra.
LE TRADIZIONI DEL NATALE PROVENZALE
Santa Barbara
L’almanacco provenzale ci insegna che Santa Barbara è vissuta nel III secolo. Patrona dei minatori e degli artificieri, si festeggia il 4 dicembre. Quel giorno si seminano in vari piattini su uno strato di muschio fresco grano e lenticchie, bagnate con un po’ d’acqua-
Durante i 20 giorni che separano Santa Barbara dal Natale, come primo piacere di questo periodo, i semi germineranno formando dei bei ciuffi verdi, promessa dei futuri raccolti. Se il 25 dicembre tutti i semi sono germinati bene si dice che il raccolto sarà buono ; se sono marciti, bisogna attendersi ben misere mietiture! Il piattino più bello verrà messo sulla tavola di Natale, gli altri finiranno nel presepe, tra le rocce e i cespugli-.
Santa Lucia
Santa Lucia, che cade il 13 dicembre, celebra il primo sussulto dell’inverno. prima del solstizio del 21 dicembre. Celebrare l’inverno è un modo di farselo amico… L’arrivo della stagione fredda è dunque annunciato dalla raccolta del vischio e dell’agrifoglio, che devono la loro sacralizzazione a vecchie credenze precristiane. Il vischio per i druidi aveva un potere miracoloso: oggi lo si appende prima di Natale sopra le porte, in segno di pace e benevolenza. L’agrifoglio possiede un forte significato spirituale, rappresenta il rovo-ardente di Mosè e la corona di spine di Cristo, ed ha potere contro gli incantesimi. L’arrivo dell’inverno annuncia il freddo e, per la paura del gelo, fa nascere ogni sorta di superstizioni. A Santa Lucia accendere delle luci (candele, lampioncini…) alla propria finestra è un modo per scongiurare la cattiva sorte dell’inverno…
Il Presepe
Passata Santa Barbara si può « fare il presepe ».E’ un momento importante della vita familiare in Provenza, dove i santon, le statuine del presepe. si trasmettono di padre in figlio.
Il presepe è una «mangiatoia a forma di cassa più o meno lunga e montata su piedi, che potrebbe anche servire da letto ». Pare che il presepe sia molto antico; si fa risalire la sua invenzione a San Francesco d’Assisi: egli fece rappresentare la Natività da personaggi e animali viventi, in una stalla abbandonata. Con la Rivoluzione nacque l’usanza di fare un presepe in ogni casa e questa bella tradizione provenzale non tardò a conquistare tutte le regioni della Francia. Il presepe autentico è in realtà una rappresentazione ideale del villaggio provenzale, dove ognuno ha il suo posto, compresi gli animali domestici. La scena è una proiezione in due parti, della vita della comunità, con le case, il pozzo, il forno, l’acqua del mulino, la neve, i pini, gli ulivi, il cielo illuminato....e un stalla con il Bambino Gesù, la Vergine Maria, Giuseppe, l’asino e il bue, la stella cometa, che guiderà più tardi i Re Magi, e la folla che viene a far loro visita. Si « disfa » il presepe il giorno della Candelora.
I « santon »
Ma il presepe e’ innanzitutto i santon, le statuine…
Tutti i santon, dal provenzale "santoun", che significa "piccolo santo", sono fatti con uno stampo originale, che rappresenta vari personaggi popolari provenzali, fatti seccare dal santonnier prima di verniciarli. Egli fabbrica poi uno stampo in gesso, più raramente in resina. Il santon è quindi rifilato alla base e nel contorno, prima di una seconda pressione fatta con la mano sullo stampo: lo si lascia seccare all’ombra, quindi lo si rifila di nuovo una volta secco. Si dipingono a guazzo i colori più chiari, come per il viso, quindi i più scuri. Il primo santon è di origine marsigliese, essendo lo stampo più antico quello di Lagnel, esposto al Musée du Vieux Marseille (casa Diamantée). Esistono all’incirca 3 misure di santon: «pulce», alto da 1 a 3 cm , tradizionale ,alto come un pollice, e il grande santon che può raggiungere i 18 - 20 cm. Alcuni di essi, generalmente di misura grande, possono essere abbigliati. Tutti questi personaggi circondano il Bambin Gesù, Maria, Giuseppe e i Re Magi, messi nel presepe il 6 gennaio.
Ogni santonnier crea dei personaggi ispirandosi al folclore e alla tradizione, come il pastore che offre l’agnello, ricordo della condivisione, e la donna con la gallina nera, il cui brodo era consigliato per i neonati.
Così tra queste figure si ritroveranno tutti i mestieri del secolo scorso, in totale una cinquantina dai nomi evocatori!
Roustido, la simpatica borghese con l’ombrello rosso, tenuto da marito.
Bartomiou, ubriacone incorreggibile, con un lungo berretto di cotone, che presenta al Bambino Gesù un merluzzo piatto e secco.
Pistachié, il gran babbeo, che conduce un asino carico di sacchi di grano.
Lou Ravi, che alza le braccia al cielo, in segno di ammirazione.
Il panettiere e il suo cesto di “fougasses”, focacce.
E la venditrice d’aglio, la pescivendola, i garzoni di fattoria, che portano la lanterna, il pescatore e la sua canna sulla spalla, gli adoranti (personaggi in ginocchio), ecc.
Il santon è un fenomeno prettamente provenzale, che si integra nelle tradizioni calendali. Ingenue e buffe, familiari ma dignitose, queste figurine fanno da tempo la gioia dei bambini di Provenza, prima d’intrigare, e poi d’intenerire, gli adulti.
La Vigilia di Natale
Il «cacho-fio»
La vigilia di Natale inizia con questo rito, una pratica semi-religiosa, semi-magica, ricordo tenace delle libagioni romane. Il nonno sceglie una candela tra tutte quelle accese e la presenta alla famiglia: se la fiamma si piega come una spiga troppo pesante, il raccolto sarà buono, se rimane ben dritta, il granaio rimarrà vuoto. Il «cacho-fio» consiste nell’accensione rituale del tronco di Natale, tradizionalmente di legno di albero da frutto (pero, ciliegio, olivo). «Cacha le feu» significa accendere il fuoco: si dice anche "Bouta cacho-fio", vale a dire accendere, appiccare il fuoco al tronco.
Prima di mettersi a tavola, il più vecchio e il più giovane della famiglia presentano il tronco davanti al camino e, tre volte di seguito, versano del “vin cuit”, del vino cotto, sul ceppo, prima di metterlo nel focolare e di accenderlo. Fanno questo cantando «Alègre! Diou nous alègre Cacho fio ven, tout ben ven ; Diou nous fagué la graci de veïre l’an que ven, Si sian pas mai que siguen pas men », vale a dire, «Gioiamo! Dio ci fa la grazia di celebrare il «cacho fio», tutto va bene; Dio ci fa la grazia di vedere l’anno che arriva. Se non siamo di più, che non siamo di meno ».
Il cenone
Il cenone, subito dopo il «cacho-fio», è un pasto di magro, ma richiede una vera e propria scenografia. La tavola à l’elemento principale della rappresentazione,ornata di piccoli rami di agrifoglio di palline rosse, talvolta di rose di Gerico, e del grano di Santa Barbara. Il pane calendale è al centro. Le «tre tovaglie» bianche che ricoprono la tavola e le tre candele evocano la Trinità. I tredici pani, accompagnamento del pasto, ricordano l’Ultima Cena con i dodici apostoli e Gesù. Lo stesso è per i tredici dessert, che fino ad oggi compaiono sulla tavola di Natale. Essi possono essere messi in tavola sin dall’inizio con il vino, in segno d’abbondanza, affinchè il desco sia pieno. Poiché Natale è la festa della Carità, un coperto viene riservato ad uno sconosciuto, è il «coperto del povero». Si diceva che fosse destinato all’anima dei morti della famiglia, invitata alla festa. Si preparavano sette piatti di magro per ricordare «le sette piaghe di Cristo».Poiché la vigilia di Natale richiede digiuno e astinenza dalla carne, il pasto è magro ma abbondante. Tale abbondanza è presagio di prosperità futura. Sembra che per ogni villaggio ci siano uno o due piatti tradizionali, il che spiega la grande diversità dei pasti di Natale. Non si trova un «menu tipo», ma delle costanti a seconda delle regioni. In generale il pasto di Natale è adattato alle risorse del territorio e alle possibilità locali, ad esempio tra la Provenza marittima e la Provenza rurale. Nelle città e nei villaggi della Costa naturalmente si trova del pesce fresco (anguille, tonno, orata, merluzzo…), mentre nella Provenza interna le verdure fanno la parte del leone nel menu (spinaci al gratin ad Apt, con aglio e prezzemolo, coste e cardi, sedano crudo con salsa di acciughe, porri, gratin di zucca…).
Nella montagna provenzale il piatto tradizionale sono i «crouzets», pasta a striscioline, detta anche «crouiches» o «crouizes».
L’abbondanza dei piatti di Natale contrasta con il quotidiano, ma essi sono comunque semplici nella loro preparazione.
Facile : Ricetta de l’Anchoïade , la Salsa di acciughe - Per 4 persone – 5 minuti di preparazione
3 acciughe, 2 cucchiaini da caffè di aceto, 6 cucchiai d’olio d’oliva, 2 spicchi d’aglio.
Fare fondere le acciughe nell’aceto caldo. Aggiungere l’olio. L’anchoïade si sposa molto bene con il cardo o il sedano.
I tredici dessert
Tredici, come Cristo e i dodici apostoli. Se essi sono in genere associati alla Provenza e alla tradizione di Calèna, vale a dire Natale, della Contea di Nizza, li si ritrova oggi in tutta l’Occitania e anche in Catalogna. Essi vengono serviti alla fine del « Cenone », pasto codificato della vigilia di Natale . I 4 mendicanti, simboleggianti i diversi ordini religiosi cattolici che hanno fatto voto di povertà, sono la base dei 13 dessert:
noci e nocciole per gli Agostiniani
fichi secchi per i Francescani
mandorle per i Carmelitani
uva passa per i Domenicani
Oltre a questi 4 primi dessert, a seconda delle regione, delle città o persino a seconda delle famiglie, si trovano :
la pompe à huile, una brioche piatta zuccherata, all’olio d’oliva, chiamata anche fougasse o gibassier
il torrone nero e il torrone bianco di Provenza (quello d’Allauch o di Sault al miele di lavanda e alle mandorle d Provenza)
le mele e le pere
le susine (Brignoles)
il “verdaù” (melone verde, conservato nel grano)
le arance (segno di richezza),i mandarini e le clementine
il melone di Natale
l’uva bianca
la frutta candita ( ad esempio di Apt)
la pasta o la confettura di mela cotogna
dei cioccolatini: tartufi al cioccolato o «papillotes»
i calisson d’Aix
le “bugnes” (o “merveilles”, o “oreillettes”), piccole frittelle al fior d'arancio
la «galette» di latte
la torta alle mandorle
i datteri (che possono essere farciti di pasta di mandorle)
Secondo la tradizione, ogni convitato deve assaggiare un po’ di tutti i dessert, accompagnati dal “vin cuit”, in modo da assicurarsi la buona fortuna per tutto l’anno.
La Messa di mezzanotte
La tradizione di celebrare una messa a mezzanotte il 24 dicembre risalirebbe al V secolo e la diffusione in Provenza di questo ufficio di Natale non ha bisogno di essere sottolineata, avendo toccato e commosso il mondo intero.
Prima della messa propriamente detta ha luogo la veglia, un momento di raccoglimento, accompagnato da canti e musica. I "Noël" hanno un ruolo di primo piano, e questo termine indica di solito un canto o cantico in lingua provenzale, con il quale i poeti traducevano il fervore religioso e le tradizioni locali. Il "Noël" è in effetti cantato in forma di dialogo e si presta molto bene ai giochi scenici della pastorale: i più celebri sono quelli dell’Avignonese Nicolas Saboly (1614-1675), di cui Frédéric Mistral diceva "che potevano fare piangere d’emozione un’intera chiesa".
Oltre ai cantici e ai Noël cantati, il cerimoniale della messa di mezzanotte comprende un’animazione particolare al momento dell’offerta, il «pastrage».
Il pastrage
La presentazione di un agnello alla Messa di mezzanotte fa parte di un rituale chiamato «Pastrage», (da pâtre: pastore).I pastori, con un lungo abito simile ad un saio, un cero in mano, uno dei quali porta un agnellino da latte, avanzano lentamente verso l’altare maggiore, preceduti dal «galoubet», una sorta di piffero in uso in Provenza, e dal tamburino. Davanti all’altare l’agnello viene offerto al priore, che lo prende in braccio. Il pastore, prima dell’adorazione, fa il racconto del viaggio intrapreso da lui e dai suoi compagni attraverso colline e valli. Si possono fare altre offerte: dei bei frutti, delle verdure, del pesce, una fougasse..., a seconda dei villaggi e delle regioni, dove ognuno vuol offrire i suoi migliori prodotti. Tutti questi attori indossano il costume della loro professione. E’ dunque un corteo variegato ed eterogeneo, ma pervaso di grande fervore, che avanza verso l’altare, accompagnato da gruppi folcloristici.
Le pastorali
La pastorale evoca innanzitutto la marcia verso la stalla e la pia devozione al nuovo nato. Il soggetto non varia molto: è la storia di San Giuseppe, che vicino a Betlemme cerca un riparo per la notte, andando di porta in porta, di alloggio in alloggio, fino a quando non gli indicano una grotta , dove la sua famiglia troverà riparo. Autentici misteri, nel senso del teatro medievale, le pastorali venivano inizialmente recitate nella chiesa stessa, e facevano parte del rituale della messa La cerimonia fu in seguito spinta fuori dalle mura del tempio di Dio. Tra le più celebri, citiamo la pastorale Maurel (1844) e la pastorale di Bellot.
La pastorale Maurel mette in scena la marcia della stella, de ”la bello estello”.
Pellegrinaggio improvvisato, è in effetti una corsa al miracolo. Il dialogo è ingenuo e satirico, in lingua provenzale. L’interesse comico ruota intorno al personaggio di Pistachié e del suo compare Jiget, che è pure balbuziente. Si ride alle loro disavventure, prima di intenerirsi sul cieco e su suo figlio. Il "Boumian" è sempre molto cattivo, e il "Rémoulaïre" ama il vino...
L’Epifania
Epifania significa apparizione: in questo caso quella dei Re Magi. Le feste “calendali” terminano l’ 8 gennaio con la «galette des rois». Molto diverso dalla “galette” di pasta sfoglia, il «gâteau des rois» provenzale è una specie di brioche a forma di corona, guarnita di frutta candita. Nei tempi passati era uso che il panettiere, a cui era caro il proprio lavoro, l’offrisse ai suoi migliori clienti.
La Candelora
Il 2 febbraio chiude le tradizioni natalizie. E’ il giorno in cui si disfa il presepe. Secondo la liturgia, la Candelora è la festa della purificazione della Vergine Maria. Sin dall’antichità il mese di febbraio (che viene dal verbo latino februare, purificare) è associato al “fuoco novello”, al periodo di purificazione della natura, che si prepara ad uscire dall’inverno. I giorni si allungano con la speranza del rinnovamento. Avvicinandosi con la sua idea di penitenza a questa concezione pagana, la chiesa sceglie di benedire dei ceri verdi, colore che evoca da sempre l’idea di purificazione. A Marsiglia la Festa della Candelora ha conservato tutto il suo splendore.