La Botataung Paya, che in birmano significa la “pagoda dei mille ufficiali”, è un complesso religioso di culto buddhista Theravada nel centro di Yangon, la ex-capitale della Birmania, non distante dalle rive del fiume che ha lo stesso nome della città.
Come avvenne per la Shwedagon Paya, anche questo complesso fu costruita dai Mon, il popolo birmano che diede grande impulso al Buddhismo tra il VI e il X secolo, nonostante le leggende vogliono che questi edifici siano praticamente contemporanei al Buddha Storico, quindi risalenti a circa 2600 anni fa. Secondo la tradizione, la pagoda prende il nome da quando, su questa collina, il re fece costruire qui il tempio per custodire otto capelli del Buddha (di cui poi sette finirono in seguito altrove) che fece portare fin dall'India e rese onore alle sacre reliquie facendole accogliere da uno schieramento di mille ufficiali. In base ad antichi racconti, il luogo in cui costruire la pagoda venne individuato in maniera piuttosto complessa: il re Sihadipa diede le reliquie a uno dei suoi Ministri, famoso per la sua bontà e per la sua fede, il quale consultò un importante religioso e, dietro suo consiglio, scelse la collina a fianco del fiume Yangon perché si trovava a mille tars (un'unità di misura del tempo) esatti a sud-est della Shwedagon Paya.
Quella che ammiriamo oggi però è una ricostruzione, in quanto l'originale fu completamente rasa al suolo nel novembre 1943 quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, una bomba sganciata dalla Royal Air Force di Sua Maestà la Regina Britannica che puntavano a distruggere i pontili del vicino corso d'acqua, centrò in pieno il luogo sacro. La ricostruzione della pagoda cominciò il giorno stesso in cui il paese conquistò l'indipendenza dal Regno Unito, il 4 gennaio 1948.
Durante gli scavi per predisporre le fondamenta venne scoperta una stanza sotterranea, dalla base di sei metri per sei metri, alta poco meno di un paio di metri e dal tetto conico, una specie di grande contenitore nascosto. All'interno di questa camera venne trovato un magnifico scrigno in laterite a forma di pagoda, del diametro di circa 60 cm e alto 1 metro, sul quale erano state scolpite delle figure di nat, gli spiriti appartenenti all'animismo pre-buddhista il cui culto era stato concesso a fianco del Buddhismo, con l'evidente ruolo di guardiani. Lo scrigno era immerso nel fango che si era formato quando l'acqua, nel corso dei secoli, era filtrata. Assieme allo scrigno vennero rinvenuti altri tesori: pietre preziose, ornamenti, gioielli, placche di terracotta rappresentanti scene della vita del Buddha e statue in oro, argento, ottone, e pietra, per un totale di circa 700 oggetti.
Una delle placche di terracotta ritrovate è di grande importanza, nonostante sia stata deteriorata dal tempo e dall'umidità, perché sul retro di un'immagine del Buddha riporta caratteri molto simili a quelli utilizzati nell'antica lingua Brahmani dell'India meridionale. Si tratta di un reperto che ha permesso, grazie alla ricerca di studiosi birmani, di stabilire che si trattava dei caratteri in uso presso i Mon, rivelando come all'epoca fossero costoro ad aver costruito le pagode e ad avere dato notevole impulso al Buddhismo, avendo in pratica lo stesso ruolo svolto dalla Stele di Rosetta nel permettere di decifrare la lingua dei Mon.
Quando il tetto conico della stanza venne rimosso, si scoprì un altro cono di pietra ricoperto d'oro, inequivocabilmente una piccola pagoda, squisitamente lavorato. Anche questo era parzialmente sommerso dal fango e solo dopo che venne del tutto pulito si scoprì che alla base vi erano ancora oro e gioielli. Quando il cono dorato venne tolto, al suo interno si trovò una piccola pagoda tutta d'oro, eretta su una base d'argento, a fianco della quale venne ritrovata una statua in pietra alta una dozzina di centimetri di lavorazione molto antica. Quando la pagoda venne sollevata, si rinvenne un piccolo cilindro d'oro di circa 19 millimetri di lunghezza e il diametro di 11 millimetri all'interno del quale furono trovata due reliquie umane e un capello, arrotolato e poi fissato con un po' di lacca in cui sono state trovate tracce d'oro, che i fedeli attribuiscono al Buddha storico.
Lo stupa centrale, dorato e dalla foggia inconsueta, è alto poco più di 40 metri e poggia su una base di 29 metri per 29 metri. A differenza della maggior parte degli altri stupa, quello della Botataung Paya è cavo e al suo interno, dopo aver percorso un piccolo labirinto di corridoi rivestito di pareti dorate, si trova la stanza che contiene il Sacro Capello del Buddha, oltre a una gran quantità di altri oggetti sacri come statue in oro e argento. Va detto che la struttura non è grandiosa come la più famosa “collega” cittadina, la Shwedagon Paya, ma è anche vero che, non essendo regolarmente stracolma di fedeli e visitatori come l'altra, la visita a questa pagoda si rivela un'esperienza più autentica e spirituale, ancora più se effettuata di notte, quando la pagoda è illuminata. Non sorprendetevi se qualcuno, magari dei giovani monaci che vogliono migliorare il proprio inglese, avranno voglio di fare conversazione.
Notevole è anche la statua in bronzo del Buddha conservato nel lato settentrionale dello stupa, una scultura risalente al regno di Mindon Min. Quando gli Inglesi presero il controllo di tutto il paese, nel 1855, la statua si trovava presso il Palazzo di Vetro di Thibaw Min, l'ultimo re della Birmania. Il re venne mandato in esilio in India e la statua inviata a Londra, come trofeo di guerra. Dopo la II Guerra Mondiale, più precisamente nel 1951, venne restituita alla Birmania e collocata alla Botataung Paya. In un altro angolo del complesso, vi è un laghetto quadrato, le cui acque brulicano di tartarughe acquatiche, attraversato da un ponticello coperto e tutto decorato che porta al padiglione dove vengono venerate le statue dei nat, fra i quali spicca la figura di Bo Bo Gyi, considerato lo spirito guardiano della pagoda e raffigurato come un anziano dagli abiti variopinti.
La pagoda apre tutti i giorni dalle 6:00 fino alle 22:00. L'ingresso per i turisti è di circa 2 €, a cui aggiungere circa 1 € se si vuole fare utilizzo di macchina fotografica o cinepresa. Come in tutti i luoghi sacri birmani, è obbligatorio togliersi sia le scarpe che i calzini.