Siria: un patrimonio culturale da salvaguardare
La Siria è la culla delle più antiche civiltà, ognuna delle quali ha lasciato una impronta ancora visibile attraverso le testimonianze raccolte nei musei o esposte nei siti archeologici disseminati nel paese. A oltre due anni dall’inizio della crisi che tutt’ora blocca il libero ingresso nel paese e quindi anche lo sviluppo dell’industria turistica, quel patrimonio di reperti e di memorie continua ad essere in pericolo. Non solo perché soggetto alla distruzione fisica che ogni guerra porta con sé ma per l’interesse legato al valore economico dei reperti che, commercializzati illegalmente, li trasforma in proficue fonti di finanziamento.
La Direzione Generale che sovrintende alla gestione dei siti e dei musei ha moltiplicato gli interventi per limitare i crimini contro il patrimonio culturale e archeologico ed evitare che si ripeta lo scempio avvenuto in Iraq ai tempi del conflitto. “Per proteggerle – spiega il ministro della cultura siriano, Loubana Mouchaweh – la Siria si è costituita come parte civile contro le persone, le istituzioni, i governi implicati nel traffico illegale di opere indebitamente sottratte. Il loro valore economico e soprattutto testimoniale è inestimabile”.
Le bacheche del Museo Nazionale di Damasco sono completamente vuote. Ogni sala restituisce allo sguardo la desolazione di piedistalli ribaltati e velluti lasciati a prendere polvere. I reperti, unitamente a quelli esposti fino allo scoppiare della crisi nei 21 musei presenti nel paese, sono stati riposti in scatole di ferro nascoste dal Governo siriano in luoghi segreti. Nove di queste, custodite presso il deposito del museo della città di Raqqa, occupata dai ribelli islamisti, zona fra le più calde della crisi siriana, sono state sottratte da gruppi armati. Le statue, le monete ed i reperti sono immediatamente transitate fra le fila della “lista rossa” stilata dal ministero della cultura siriano che identifica le opere da recuperare.
Nel 2012, le indagini che coinvolgono anche l’Interpol hanno permesso di rintracciare ben 4.000 pezzi di varia provenienza individuate, tramite perquisizioni, nelle varie città fra cui Damasco, Tartous, Palmyre, Homs, Hamas e altre. All’appello mancano ancora diverse voci, come la statua in bronzo coperta d’oro risalente al periodo armeno sottratta al Museo di Hama. Decisamente più complessa è la salvaguardia gli oltre 10mila siti archeologici sparsi nel territorio siriano, sei dei quali iscritti sulla lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Nelle zone controllate dai ribelli, i siti archeologici vengono puntualmente saccheggiati. Gli scavi effettuati senza criterio e l’uso grossolano di ruspe, distruggono alla ricerca di qualche testimonianza che possa essere venduta illegalmente. A differenza di quanto accade nei musei, dove l’identità dei reperti è catalogata, nei siti archeologici ogni oggetto o frammento viene sottratto senza lasciare memoria.
La Direzione Generale che sovrintende alla gestione dei siti e dei musei ha moltiplicato gli interventi per limitare i crimini contro il patrimonio culturale e archeologico ed evitare che si ripeta lo scempio avvenuto in Iraq ai tempi del conflitto. “Per proteggerle – spiega il ministro della cultura siriano, Loubana Mouchaweh – la Siria si è costituita come parte civile contro le persone, le istituzioni, i governi implicati nel traffico illegale di opere indebitamente sottratte. Il loro valore economico e soprattutto testimoniale è inestimabile”.
Le bacheche del Museo Nazionale di Damasco sono completamente vuote. Ogni sala restituisce allo sguardo la desolazione di piedistalli ribaltati e velluti lasciati a prendere polvere. I reperti, unitamente a quelli esposti fino allo scoppiare della crisi nei 21 musei presenti nel paese, sono stati riposti in scatole di ferro nascoste dal Governo siriano in luoghi segreti. Nove di queste, custodite presso il deposito del museo della città di Raqqa, occupata dai ribelli islamisti, zona fra le più calde della crisi siriana, sono state sottratte da gruppi armati. Le statue, le monete ed i reperti sono immediatamente transitate fra le fila della “lista rossa” stilata dal ministero della cultura siriano che identifica le opere da recuperare.
Nel 2012, le indagini che coinvolgono anche l’Interpol hanno permesso di rintracciare ben 4.000 pezzi di varia provenienza individuate, tramite perquisizioni, nelle varie città fra cui Damasco, Tartous, Palmyre, Homs, Hamas e altre. All’appello mancano ancora diverse voci, come la statua in bronzo coperta d’oro risalente al periodo armeno sottratta al Museo di Hama. Decisamente più complessa è la salvaguardia gli oltre 10mila siti archeologici sparsi nel territorio siriano, sei dei quali iscritti sulla lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Nelle zone controllate dai ribelli, i siti archeologici vengono puntualmente saccheggiati. Gli scavi effettuati senza criterio e l’uso grossolano di ruspe, distruggono alla ricerca di qualche testimonianza che possa essere venduta illegalmente. A differenza di quanto accade nei musei, dove l’identità dei reperti è catalogata, nei siti archeologici ogni oggetto o frammento viene sottratto senza lasciare memoria.
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L’elenco dei più danneggiati è aperto dai siti di Mari, Doura Europos, Halabia de Bousseria, Tell Cheikh Hamad e Tell el Sin, nella zona di Deir El Zor, nell’Est della Siria dove recentemente sono stati rubati 18 mosaici rappresentanti l’Odissea. Le distruzioni che coinvolgono anche il patrimonio architettonico e culturale, come la Moschea degli Omeyyades di Aleppo, pesantemente danneggiata dal conflitto, sono monitorate attraverso le immagini satellitari laddove i territori sono ancora controllati dai ribelli. Le fasi dell’intervento sono rimandate a quando il Governo riuscirà a piegare la resistenza di quei gruppi armati.
L’UNESCO ha stanziato oltre 2 milioni di euro per il ripristino del patrimonio culturale siriano ai quali si aggiungono quote devolute spontaneamente da altri paesi. Seppur così frammentato e incerto, il quadro lascia comunque spazio ad una convinzione consolatoria. “Siamo convinti – sottolinea il ministro alla cultura Loubana Mouchaweh – che buona parte dei reperti sottratti non abbia lasciato i confini del paese. Fra i molti oggetti recuperati, tanti sono risultati dei falsi. Non so se posso dirlo, ma tanti reperti archeologici provenienti dalla Siria e presenti nei paesi europei sono dei falsi, ben fatti, ma copie riprodotte dagli artisti e artigiani siriani, difficilmente distinguibili dagli originali che non hanno mai lasciato il paese”.
Consultare l’elenco aggiornato delle distruzioni inflitte al patrimonio culturale è possibile attraverso il sito www.gov.sy.
L’UNESCO ha stanziato oltre 2 milioni di euro per il ripristino del patrimonio culturale siriano ai quali si aggiungono quote devolute spontaneamente da altri paesi. Seppur così frammentato e incerto, il quadro lascia comunque spazio ad una convinzione consolatoria. “Siamo convinti – sottolinea il ministro alla cultura Loubana Mouchaweh – che buona parte dei reperti sottratti non abbia lasciato i confini del paese. Fra i molti oggetti recuperati, tanti sono risultati dei falsi. Non so se posso dirlo, ma tanti reperti archeologici provenienti dalla Siria e presenti nei paesi europei sono dei falsi, ben fatti, ma copie riprodotte dagli artisti e artigiani siriani, difficilmente distinguibili dagli originali che non hanno mai lasciato il paese”.
Consultare l’elenco aggiornato delle distruzioni inflitte al patrimonio culturale è possibile attraverso il sito www.gov.sy.