Tour tra i deserti occidentali della Cina
Per le sue smisurate dimensioni (32 volte più vasta dell’Italia e con una superficie quasi quanto l’intera Europa, ma con il doppio della popolazione) e per la sua estrema varietà ambientale, geografica e umana, più che una nazione la Cina si presenta come un continente.
E in un continente di siffatte dimensioni trovano posto diversità davvero inimmaginabili, tali da farne un vero caleidoscopio di situazioni assai diverse le une dalle altre. Le estreme regioni occidentali, ad esempio, estese quanto oltre la metà del paese pur se scarsamente popolate, più centrasiatiche che cinesi da tutti i punti di vista, si differenziano nettamente da tutto il resto della nazione. Qui si trovano le montagne più elevate con altitudini tra i 6 e gli 8.000 m e ghiacciai perenni, come le catene del Karakorum, dell’Himalaya, del Tien Shane tante altre, altipiani aridi e stepposi a 5.000 m di quota come il Tibet e il Pamir dai quali nascono i tre maggior fiumi cinesi (Fiume Giallo, Fiume Azzurro e Mekong), ma anche deserti enormi e infuocati con laghi salati e pietraie come il Turpan, il Tengger, il Taklimakan e il Gobi a causa della loro estrema continentalità e la maggior distanza dal mare dell’intero pianeta (2.650 km), e la grande depressione del Turpan, tra le maggiori della terra (-154 m) dove il maggior fiume endoreico al mondo sparisce tra le sabbie dopo un percorso di oltre 2.000 km.
Le tempeste di sabbia che oscurano i cieli primaverili di Pechino e della Cina orientale, ma anche della Corea e del Giappone, derivano proprio da questi deserti, spazzati da venti implacabili. Queste regioni, abitate ancora in gran parte da pastori nomadi, confinano con una miriade di stati centrasiatici (India, Pakistan, Afganistan, Kazakistan, Kirghizistan, Russa e Mongolia), presentano la maggior concentrazione di varietà etniche provenienti da tutte queste e da altre nazioni, ciascuna con il loro variegato bagaglio di lingue, culture, costumi e tradizioni, e con l’etnia han cinese in minoranza nonostante le recenti massicce immigrazioni imposte dal governo centrale.
Eppure queste terre all’apparenza inospitali rivestono per la Cina un’importanza storica ed economica fondamentale: qui era infatti fiorita una prospera civiltà già 8.000 anni fa e la scrittura 3.500 anni or sono, qui si concentrano le maggiori risorse energetiche e minerarie del paese e, soprattutto, da queste oasi ha transitato per quasi due millenni la Via della Seta, principale motore economico, commerciale e di interscambio culturale tra la Cina e l’Occidente, dall’India fino al Mediterraneo, e attraverso la quale sono penetrate nell’impero del sol levante tutte le grandi religioni, dal buddismo all’islam. Ma tra queste popolazioni e la Cina non c’è mai stato vero amore, al massimo tornaconto, nella logica di contrapposizione di interessi tra nomadi e stanziali: furono cinesi e sottomessi quando l’impero era forte, autonomi e nemici quando invece era debole, tanto che per difendersi dalle loro ripetute scorrerie gli imperatori cinesi dovettero inventarsi la Grande Muraglia, un impegno mica da poco. E ancora oggi l’irredentismo delle regioni occidentali musulmane costituisce per il governo centrale una spina nel fianco non inferiore a quello tibetano.
E in un continente di siffatte dimensioni trovano posto diversità davvero inimmaginabili, tali da farne un vero caleidoscopio di situazioni assai diverse le une dalle altre. Le estreme regioni occidentali, ad esempio, estese quanto oltre la metà del paese pur se scarsamente popolate, più centrasiatiche che cinesi da tutti i punti di vista, si differenziano nettamente da tutto il resto della nazione. Qui si trovano le montagne più elevate con altitudini tra i 6 e gli 8.000 m e ghiacciai perenni, come le catene del Karakorum, dell’Himalaya, del Tien Shane tante altre, altipiani aridi e stepposi a 5.000 m di quota come il Tibet e il Pamir dai quali nascono i tre maggior fiumi cinesi (Fiume Giallo, Fiume Azzurro e Mekong), ma anche deserti enormi e infuocati con laghi salati e pietraie come il Turpan, il Tengger, il Taklimakan e il Gobi a causa della loro estrema continentalità e la maggior distanza dal mare dell’intero pianeta (2.650 km), e la grande depressione del Turpan, tra le maggiori della terra (-154 m) dove il maggior fiume endoreico al mondo sparisce tra le sabbie dopo un percorso di oltre 2.000 km.
Le tempeste di sabbia che oscurano i cieli primaverili di Pechino e della Cina orientale, ma anche della Corea e del Giappone, derivano proprio da questi deserti, spazzati da venti implacabili. Queste regioni, abitate ancora in gran parte da pastori nomadi, confinano con una miriade di stati centrasiatici (India, Pakistan, Afganistan, Kazakistan, Kirghizistan, Russa e Mongolia), presentano la maggior concentrazione di varietà etniche provenienti da tutte queste e da altre nazioni, ciascuna con il loro variegato bagaglio di lingue, culture, costumi e tradizioni, e con l’etnia han cinese in minoranza nonostante le recenti massicce immigrazioni imposte dal governo centrale.
Eppure queste terre all’apparenza inospitali rivestono per la Cina un’importanza storica ed economica fondamentale: qui era infatti fiorita una prospera civiltà già 8.000 anni fa e la scrittura 3.500 anni or sono, qui si concentrano le maggiori risorse energetiche e minerarie del paese e, soprattutto, da queste oasi ha transitato per quasi due millenni la Via della Seta, principale motore economico, commerciale e di interscambio culturale tra la Cina e l’Occidente, dall’India fino al Mediterraneo, e attraverso la quale sono penetrate nell’impero del sol levante tutte le grandi religioni, dal buddismo all’islam. Ma tra queste popolazioni e la Cina non c’è mai stato vero amore, al massimo tornaconto, nella logica di contrapposizione di interessi tra nomadi e stanziali: furono cinesi e sottomessi quando l’impero era forte, autonomi e nemici quando invece era debole, tanto che per difendersi dalle loro ripetute scorrerie gli imperatori cinesi dovettero inventarsi la Grande Muraglia, un impegno mica da poco. E ancora oggi l’irredentismo delle regioni occidentali musulmane costituisce per il governo centrale una spina nel fianco non inferiore a quello tibetano.
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Un possibile itinerario alla scoperta dei deserti, delle oasi, degli antichi monumenti buddisti e islamici e dei vecchi caravanserragli lungo la Via della Seta nella Cina dell’Ovest si sviluppa attraverso Gansu, Mongolia Interna e Xinjang, le tre regioni più ricche di testimonianze e significative, comprese tra l’altopiano tibetano, il Gobi e le maggiori montagne centrasiatiche. Si parte da Lanzhou, capoluogo del Gansu sul Fiume Giallo raggiunto in volo da Pechino, e dopo Zhangye, importante stazione lungo la Via della Seta dove Marco Polo si fermò un intero anno, dove si visita la statua del Budda dormiente più grande della Cina (35 m di lunghezza), si arriva all’altopiano del Gobi-Alashan nella Mongolia Interna per esplorare il deserto di Badan Jilin, con dune alte 400 m e il maggior complesso al mondo di laghi nel deserto.
Tra laghi salati, dune, verdi foreste e antiche fortezze si raggiungono le imponenti rovine di Khara Khoto, la “Città nera” capitale attorno al Mille dello sconosciuto impero dei Tanguti e importante emporio sulla Via della Seta, conquistata nel 1226 da Gengis Khan e poi nel 1372 dai cinesi, assetando gli abitanti mediante la deviazione di un fiume che riforniva la città. Questo insediamento ha restituito all’inizio del secolo scorso importanti capolavori d’arte buddista, ora conservati al museo dell’Hermitage di San Petroburgo.
Attraverso il Gobi Nero si arriva a Jiayuguan, avamposto cinese più occidentale della Grande Muraglia e nel 1300 estremo limite dell’impero. Si raggiunge quindi l’oasi di Dunhuang, dove la Via della Seta si biforcava per evitare il terribile deserto del Taklimakan (il luogo da cui non si ritorna) e ricongiungersi poi a Khasgar, famosa per il complesso delle grotte di Mogao, una delle massime espressioni artistiche del Buddismo con affreschi e statue protetti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Seguendo il percorso meridionale attraverso una successione di fiorenti oasi, si attraversa in tutta la sua larghezza il deserto da sud a nord fino a raggiungere il percorso settentrionale e l’oasi di Turpan nello Xinjiang, da dove si visitano i resti delle città morte di Jiaohe e Gaochang e le grotte buddiste di Yulin e Dunhuang. Conclusione con le curiosità geologiche del parco nazionale Yardan, dal quale si rientra in aereo a Pechino.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.viaggilevi.com), unico in Italia specializzato con il proprio catalogo “Alla scoperta dell’insolito” in viaggi e spedizioni nei deserti di tutto il mondo, propone nella Cina occidentale una vera spedizione di 16 giorni secondo l’itinerario sopra descritto, affrontando per la prima volta l’ostico deserto del Gobi-Alashan da sempre evitato dalle carovane. Partenze mensili di gruppo con voli di linea da Milano da giugno a settembre 2014, pernottamenti in hotel 4 stelle e 3 notti in tenda con pensione completa, guida locale e accompagnatore italiano, quote da 4.950 euro in doppia.
Tra laghi salati, dune, verdi foreste e antiche fortezze si raggiungono le imponenti rovine di Khara Khoto, la “Città nera” capitale attorno al Mille dello sconosciuto impero dei Tanguti e importante emporio sulla Via della Seta, conquistata nel 1226 da Gengis Khan e poi nel 1372 dai cinesi, assetando gli abitanti mediante la deviazione di un fiume che riforniva la città. Questo insediamento ha restituito all’inizio del secolo scorso importanti capolavori d’arte buddista, ora conservati al museo dell’Hermitage di San Petroburgo.
Attraverso il Gobi Nero si arriva a Jiayuguan, avamposto cinese più occidentale della Grande Muraglia e nel 1300 estremo limite dell’impero. Si raggiunge quindi l’oasi di Dunhuang, dove la Via della Seta si biforcava per evitare il terribile deserto del Taklimakan (il luogo da cui non si ritorna) e ricongiungersi poi a Khasgar, famosa per il complesso delle grotte di Mogao, una delle massime espressioni artistiche del Buddismo con affreschi e statue protetti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Seguendo il percorso meridionale attraverso una successione di fiorenti oasi, si attraversa in tutta la sua larghezza il deserto da sud a nord fino a raggiungere il percorso settentrionale e l’oasi di Turpan nello Xinjiang, da dove si visitano i resti delle città morte di Jiaohe e Gaochang e le grotte buddiste di Yulin e Dunhuang. Conclusione con le curiosità geologiche del parco nazionale Yardan, dal quale si rientra in aereo a Pechino.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.viaggilevi.com), unico in Italia specializzato con il proprio catalogo “Alla scoperta dell’insolito” in viaggi e spedizioni nei deserti di tutto il mondo, propone nella Cina occidentale una vera spedizione di 16 giorni secondo l’itinerario sopra descritto, affrontando per la prima volta l’ostico deserto del Gobi-Alashan da sempre evitato dalle carovane. Partenze mensili di gruppo con voli di linea da Milano da giugno a settembre 2014, pernottamenti in hotel 4 stelle e 3 notti in tenda con pensione completa, guida locale e accompagnatore italiano, quote da 4.950 euro in doppia.