Beaujolais, la regione francese del buon bere
Una AOC diversa da tutte le altre, dove si respira il piacere antico di un bere sperimentale, anche dopo secoli. Bienvenue nel Beaujolais, dove il vino è una cosa seria
Dici vino, in Francia, e si apre un mondo di possibilità e di esplorazioni. Del resto, subito dopo l’Italia, sono i cugini d’Oltralpe ad avere la medaglia d’argento in fatto di produzione enologica rispetto allo scacchiere mondiale. Livelli che oscillano da anni intorno ai 45-50 milioni di ettolitri, e che nel 2022 si è attestata a 44,2 milioni.
Insomma, non numeri di poco conto, ma del resto quello che conta davvero non è la statistica, ma la passione e la qualità che sta alla base di ogni cantina, grande o piccola che sia. E alle piccole, ci ha pensato La Versione di Gunter: non un e-commerce, neanche un magazine dedicando al mondo del buon bere, ma la perfetta sintesi dei due mondi. Il tutto, con un obiettivo preciso: parlare di vino come di una esplorazione attenta e riflettuta delle storie di viaggio, di vita e di vino. È Gunter, da solo o in compagnia di Simona, a viaggiare in prima persona in questi territori, raccontando dopo aver conosciuto, facendosi portatore sano dell’eccellenza enologica che insiste in Italia e nel mondo.
E anche a Natale, quest’emozione non si ferma, anzi diventa l’occasione giusta per condividere un calice con le persone del cuore. Grazie alla formula dell’abbonamento (fino al 26 dicembre disponibile a un prezzo speciale) ogni mese potrai ricevere direttamente a casa tua – in una confezione originale realizzata apposta per gli abbonati – una bottiglia di vino a sorpresa, sempre diversa e sempre particolare, selezionata con cura e raccontata con grande attenzione e rispetto per la storia che sta dietro a chi la produce.
Che è poi la storia di un consumo sì responsabile e consapevole, ma anche di ricerca. Una gioia per il palato, una soddisfazione per chi ogni giorno si impegna in questo grande lavoro che è il fare vino.
Un po’ come i produttori del Beaujolais, che andiamo a conoscere.
Nonostante le montagne tutt’intorno – siamo infatti nel Massiccio Centrale – la zona è da sempre amatissima per la sua capacità di produrre ottimo vino. Quale? Il Beaujolais, appunto. E così, le vigne animano un territorio di grande fascino, che a tratti richiama le colline piemontesi del Barolo, con una ricca e curiosa storia di proprietà che passano di mano in mano ed eredità reali che coinvolgono alcuni sovrani di Francia come Francesco I d’Angoulême o Luigi XIV.
Perché il Beaujolais è un vino tanto amato?
L’origine della coltivazione vinicola nel Beaujolais risale a molto lontano. Addirittura, a prima della dominazione romana, quando Edui e Segusiani (tribù galliche) dominavano la zona. Con l’arrivo dei Romani, vennero progressivamente introdotte nella valle del Reno varietà che oggi sono riconoscibili come lo Chardonnay e il Pinot Noir.
Insomma, dai Romani a oggi, Beaujolais e vino vivono un dualismo incredibile, che non si ferma neanche nel periodo buio del Medioevo e che anzi si è sviluppato, arrivando oggi a un territorio capace di produrre fino a 1 milione di ettolitri di vino.
A differenza di territori più industrializzati, però, il Beaujolais ha saputo mantenere un carattere autentico, con la sua suddivisione in tre AOC (l’equivalente francese della DOC): AOC Beaujolais, AOC Beaujolais-Villages e AOC “Crus-du-Beaujolais”. Ognuna, rappresentativa delle piccole realtà, dei villages di Francia che profumano di cultura rurale e di voglia di scoperta.
La vinificazione come risorsa economica, certo, ma anche come meccanismo di conservazione di una cultura popolare dove si seguono i ritmi della vendemmia come un calendario naturale. Nel Beaujolais è così, immersi tra case di pietra circondate da giardini ben curati e incorniciate dalle vigne.
Quelle di Les Capréoles sono estese per qualche ettaro, nulla di eclatante, ma è l’attenzione straordinaria all’ambiente, la scelta di riconvertire la produzione per evitare prodotti chimici a rendere il tutto più speciale. E così, si entra in un vortice di riscoperta, come dei magazzini e delle cantine con le grandi porte di legno, mentre una vecchia statua di Saint Vincent, patrono della vendemmia, protegge dall’alto lavoratori e strutture in un mix armonico di fede e scienza.
E anche i vini sono una vera scoperta, a partire dai curiosi nomi assegnatigli che sono un gioco di parole tra amore, golosità, dromedario… fino ad arrivare all’idrofobia. Perché con un vino tanto buono, perché bersi l’acqua?
Dici vino, in Francia, e si apre un mondo di possibilità e di esplorazioni. Del resto, subito dopo l’Italia, sono i cugini d’Oltralpe ad avere la medaglia d’argento in fatto di produzione enologica rispetto allo scacchiere mondiale. Livelli che oscillano da anni intorno ai 45-50 milioni di ettolitri, e che nel 2022 si è attestata a 44,2 milioni.
Insomma, non numeri di poco conto, ma del resto quello che conta davvero non è la statistica, ma la passione e la qualità che sta alla base di ogni cantina, grande o piccola che sia. E alle piccole, ci ha pensato La Versione di Gunter: non un e-commerce, neanche un magazine dedicando al mondo del buon bere, ma la perfetta sintesi dei due mondi. Il tutto, con un obiettivo preciso: parlare di vino come di una esplorazione attenta e riflettuta delle storie di viaggio, di vita e di vino. È Gunter, da solo o in compagnia di Simona, a viaggiare in prima persona in questi territori, raccontando dopo aver conosciuto, facendosi portatore sano dell’eccellenza enologica che insiste in Italia e nel mondo.
E anche a Natale, quest’emozione non si ferma, anzi diventa l’occasione giusta per condividere un calice con le persone del cuore. Grazie alla formula dell’abbonamento (fino al 26 dicembre disponibile a un prezzo speciale) ogni mese potrai ricevere direttamente a casa tua – in una confezione originale realizzata apposta per gli abbonati – una bottiglia di vino a sorpresa, sempre diversa e sempre particolare, selezionata con cura e raccontata con grande attenzione e rispetto per la storia che sta dietro a chi la produce.
Che è poi la storia di un consumo sì responsabile e consapevole, ma anche di ricerca. Una gioia per il palato, una soddisfazione per chi ogni giorno si impegna in questo grande lavoro che è il fare vino.
Un po’ come i produttori del Beaujolais, che andiamo a conoscere.
Dove si trovano le vigne del Beaujolais?
È un po’ come chiedere di che colore è il cavallo bianco di Napoleone, per rimanere in tema francese. Scherzi a parte, quella del Beaujolais è una zona specifica suddivisa tra Rodano, Saona e Loira: tutti sanno cos’è e dov’è, ma a disegnarne i profili precisi si fa più fatica.Nonostante le montagne tutt’intorno – siamo infatti nel Massiccio Centrale – la zona è da sempre amatissima per la sua capacità di produrre ottimo vino. Quale? Il Beaujolais, appunto. E così, le vigne animano un territorio di grande fascino, che a tratti richiama le colline piemontesi del Barolo, con una ricca e curiosa storia di proprietà che passano di mano in mano ed eredità reali che coinvolgono alcuni sovrani di Francia come Francesco I d’Angoulême o Luigi XIV.
Perché il Beaujolais è un vino tanto amato?
L’origine della coltivazione vinicola nel Beaujolais risale a molto lontano. Addirittura, a prima della dominazione romana, quando Edui e Segusiani (tribù galliche) dominavano la zona. Con l’arrivo dei Romani, vennero progressivamente introdotte nella valle del Reno varietà che oggi sono riconoscibili come lo Chardonnay e il Pinot Noir.Insomma, dai Romani a oggi, Beaujolais e vino vivono un dualismo incredibile, che non si ferma neanche nel periodo buio del Medioevo e che anzi si è sviluppato, arrivando oggi a un territorio capace di produrre fino a 1 milione di ettolitri di vino.
A differenza di territori più industrializzati, però, il Beaujolais ha saputo mantenere un carattere autentico, con la sua suddivisione in tre AOC (l’equivalente francese della DOC): AOC Beaujolais, AOC Beaujolais-Villages e AOC “Crus-du-Beaujolais”. Ognuna, rappresentativa delle piccole realtà, dei villages di Francia che profumano di cultura rurale e di voglia di scoperta.
L’esempio di Domaine Les Capréoles
Per raccontare il territorio del Beaujolais, Gunter si è spinto fino alle porte di Domaine Les Capréoles, realtà produttiva di questa zona francese dove si è confrontato con Cédrix Lecareux, esperto di produzione biologica e biodinamica, che ha introdotto nella sua realtà per sottolineare l’importanza di una enologia compatibile con le nuove sensibilità ambientali.La vinificazione come risorsa economica, certo, ma anche come meccanismo di conservazione di una cultura popolare dove si seguono i ritmi della vendemmia come un calendario naturale. Nel Beaujolais è così, immersi tra case di pietra circondate da giardini ben curati e incorniciate dalle vigne.
Quelle di Les Capréoles sono estese per qualche ettaro, nulla di eclatante, ma è l’attenzione straordinaria all’ambiente, la scelta di riconvertire la produzione per evitare prodotti chimici a rendere il tutto più speciale. E così, si entra in un vortice di riscoperta, come dei magazzini e delle cantine con le grandi porte di legno, mentre una vecchia statua di Saint Vincent, patrono della vendemmia, protegge dall’alto lavoratori e strutture in un mix armonico di fede e scienza.
E anche i vini sono una vera scoperta, a partire dai curiosi nomi assegnatigli che sono un gioco di parole tra amore, golosità, dromedario… fino ad arrivare all’idrofobia. Perché con un vino tanto buono, perché bersi l’acqua?
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