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Desertrail 2010, racconto di viaggio da Marrakech alla costa atlantica del Marocco (4 pagine)

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Il nostro viaggio a Marrakech, la perla del Marocco

Atterrati all’aeroporto nel tardo pomeriggio, ad accoglierci ci sono 46 gradi e Houda, la gentile padrona della Riad Lili, che ci avrebbe ospitato per le successive quattro notti. Lo scalo aereo dista pochi chilometri dal centro della medina, il cuore dell’antica Marrakech, ma già dalle prime immagini filtrate attraverso i finestrini dell’auto ci rendiamo conto di essere in un luogo profondamente diverso da quasi tutti gli stati da noi visitati fino ad oggi. Parcheggiata l’auto, dopo un breve tratto a piedi attraverso la parte settentrionale della medina, varchiamo la soglia della riad. L’edificio è semplicemente magnifico, con una corte centrale scoperta dominata da un gigantesco banano attorno al quale si sviluppano i tre piani dell’abitazione, che vanta tre camere da letto e altrettanti bagni, un bel salotto, cucina, sala da pranzo e soprattutto un’enorme terrazza all’ultimo piano: mai visto nulla di simile, tenendo presente tra l’altro che per questa piccola-grande fortezza paghiamo appena 20 euro al giorno comprensivi di colazione preparata in casa ogni mattina da una cortese signora marocchina incaricata di rendere il più confortevole possibile il nostro soggiorno.

Con negli occhi ancora le arabeggianti finiture della nostra magione, decidiamo di uscire e di raggiungere Djemaa el-Fna, la piazza principale, per mettere qualcosa sotto i denti. Arrivare a Djemaa el-Fna è molto semplice: praticamente tutti gli stretti vicoli e le stradine ricoperte da cataste di mercanzie della parte centrale della medina sboccano in questa sorta di enorme teatro a cielo aperto, vero e proprio fulcro della vita locale, insignito del titolo di Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Chiromanti, incantatori di serpenti, ammaestratori di scimmie ed ogni genere di venditore si ammassano qui, dove al calar del sole aprono i battenti una miriade di piccoli chioschi nei quali mangiare piatti tipici a prezzi stracciati. Nonostante il primo impatto con il luogo sia stato piuttosto “forte”, ci sediamo proprio al centro della piazza e trascorriamo la serata chiacchierando e mangiando tajine, il famoso stufato marocchino preparato nella tradizionale pentola conica di coccio che mantiene la carne di agnello, manzo o pollo eccezionalmente umida e tenera.

L’indomani il risveglio è allietato da un soave odore di caffè, tè e crepes amorevolmente preparate dalla “nostra signora”. Dopo un’abbondante colazione ci reimmergiamo nella sfrenata vita della medina alla volta della Moschea Koutoubia, dal cui minareto si leva cinque volte al giorno la voce del muezzin che richiama i fedeli alla preghiera. Essendo l’ingresso riservato esclusivamente ai fedeli, ammiriamo dall’esterno la bella torre costruita nel XII secolo ed alta più di 70 metri che sovrasta da poche centinaia di metri la sempre caotica Djemaa el-Fna. Successivamente ci rimettiamo in cammino alla volta della Medersa di Ali ben Youssef, situata all’estremità settentrionale della medina, prima della quale si estende lo spettacolare souq della pelli, ovvero il mercato della pelli, dove lacci, borse e cinture vengono preparate con materiali di primissima fattura e rivendute ai turisti a prezzi stracciati solo dopo l’animata fase di contrattazione, un vero e proprio culto per i negozianti del posto. La Medersa, una sorta di gigantesca scuola coranica capace di ospitare quasi 900 studenti nelle sue 132 celle, è molto affascinante, così come la vicina Koubba Ba’adiyn, un mausoleo almoravida del XII secolo, mentre non si può dire lo stesso del Musée de Marrakech, uno dei pochi musei della città, nel quale sono esposte armi, ceramiche, caffetani ed altre testimonianze del periodo colonialista. Per visitare queste tre attrattive si può pagare un biglietto cumulativo al costo di 60 dirham, ovvero all’incirca 6 euro. Consumato un abbondante pranzo tipicamente marocchino in una bella veranda di un ristorantino ai margini del suq delle pelli, partiamo per visitare i celebri Jardin Majorelle, donati da Yves Saint Laurent alla città che lo ospitò a partire dal 1964. Aperti al pubblico nel 1947 grazie all’impegno del pittore Jacques Majorelle, i giardini ospitano una miriade di piante di ogni genere, laghetti costellati di ninfee e l’eclettica villa dello stilista, che qui trascorse molti mesi della sua vita fino alla morte sopraggiunta nel 2008. Il complesso, situato al di fuori della cinta muraria della medina ed accessibile pagando 30 dirham, è molto suggestivo anche per chi non è propriamente un appassionato di piante e giardini, e rappresenta l’occasione giusta per trascorrere qualche ora al di fuori del trambusto della città antica in un oasi di pace e tranquillità. La sera, stremati dalle molte visite e dalla temperatura che in giornata ha raggiunto i 48 gradi, mangiamo in un ristorante vicino a Djemaa el-Fna e ci ritiriamo all’interno della riad.

Il giorno seguente il menù della giornata prevede la visita alla parte meridionale della medina, ai margini della quale si trova il Palazzo el-Badi, un complesso il cui antico splendore ha lasciato posto ad una distesa di rovine non molto interessanti. Delusi da quest’ultima visita, improntiamo il resto della giornata allo shopping sfrenato nei più caratteristici suq del centro, presso i quali ogni giorno si svolgono interminabili contrattazioni tra turisti e negozianti. A pranzo decidiamo per la prima volta di mangiare in un locale prettamente marocchino nel prezzo, appena 30 dirham per un pasto completo, nelle pietanze, ma anche nelle condizioni igieniche. Nel complesso il responso è comunque positivo: non si può andare in Marocco senza mangiare in un posto del genere. Dopo un po’ di riposo alla riad, nel tardo pomeriggio partiamo in taxi per la Ville Nouvelle, la città nuova, dove larghi viali trafficati da auto di ogni genere sono delimitati da negozi e ristoranti dal gusto occidentale. Finito di mangiare prendiamo un altro taxi alla volta del Pacha, definito dalla guida come la discoteca più grande d’Africa. Effettivamente le sale interne ed il giardino circostante sono enormi, con una consolle spettacolare ed un impianto audio e luci degni del più celebre Pacha di Ibiza che si elevano sulle teste dei tanti ragazzi che ogni sera si ritrovano qui per divertirsi. L’unico neo è rappresentato dai prezzi, dato che l’ingresso con una consumazione in una serata infrasettimanale costa comunque 200 dirham e per un cocktail si arriva a spendere fino a 150 dirham.
Per conoscere meglio anche la zona montuosa circostante a Marrakech, l’ultimo giorno partiamo per Setti Fatma e per le cascate Ourika, distanti neanche un paio d’ore d’auto dal centro. Durante il percorso paesaggi estremamente diversi tra loro ci scorrono davanti agli occhi, con il loquace conducente della vettura che cerca di raccontarci in francese le caratteristiche di questa lunga vallata scavata dal fiume all’interno di rocce dai riflessi rossastri. Arrivati a destinazione veniamo accolti da una guida del posto che, con un paio di consunte infradito ai piedi, comincia la scalata verso le sette cascate della Valle dell’Ourika. In circa quaranta minuti di cammino raggiungiamo la seconda delle sette cascate, dove chiediamo alla guida di fermarsi. Fino qui il sentiero è pieno di turisti, ma gli scenari sono ugualmente suggestivi e la salita non è particolarmente difficile. Ridiscesi in città, paghiamo la guida (150 dirham in tutto), ci divincoliamo da un manipolo di pedanti venditori di prodotti realizzati artigianalmente con la pietra della valle e mangiamo a pochi passi dal fiume. Richiamata l’attenzione del nostro autista, risaliamo in macchina e facciamo ritorno alla riad di Marrakech, dove ad aspettarci c’è la cena che avevamo concordato con la padrona per salutare la nostra partenza da Marrakech alla volta di Agadir.

 Pubblicato da il 16/12/2010 - 16.410 letture - ® Riproduzione vietata

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