Il Museo nazionale danese a Copenhagen
All'interno di Palazzo Prinsen si trova il museo Nazionale di Danimarca, il pił grande ed importante museo di Copenaghen. Il Museo Nazionale Danese Racconta 14.000 anni di storia danese.
Il Museo Nazionale della Danimarca (Nationalmuseet) si trova a Copenhagen, è il più grande museo del paese sulle antiche culture locali e straniere e ospita nelle sue collezioni alcune delle opere più importanti al mondo delle culture nordiche. I percorsi espositivi coprono, attraverso una collezione disposa su 4 piani e costituita da migliaia di pezzi minuziosamente descritti, circa 14.000 anni di storia danese. Il museo detiene la più significativa collezione del paese per quanto riguarda le antiche culture egiziane, greche, romane e del Medio Oriente, ma ciò che lo rendono un sito irrinunciabile, uno dei più interessanti punti di interesse di Copenaghen, sono gli oggetti delle culture nordiche, di cui vi andiamo a illustrare di seguito alcuni capolavori assoluti.
Fra i reperti più significativi del museo vi erano i Corni d'oro di Gallehus, due corni d'oro puro, uno più corto dell'altro, scoperti a Gallehus, nello Jutland, al centro di diverse vicissitudini. Il più lungo dei due - circa 76 cm di lunghezza e 10 cm di diametro, per circa 3,2 kg di peso - venne ritrovato nel 1639 da una contadina che ne vide spuntare un pezzo dal terreno. Ligia, scrisse una lettera al re Cristiano IV il quale lo prelevò e lo affidò al principe che lo fece rimettere a nuovo e l'antiquario Olaus Wormius lo descrisse in uno studio. Quasi un secolo più tardi, precisamente nel 1734, ne venne rinvenuto un altro, a circa 20 metri da dove era stato ritrovato il primo, più corto perché danneggiato e privo di una sezione. Anche in questo caso il ritrovatore lo fece avere il re, il quale lo ricompensò con 200 rigsdaler. Il ritrovamento colpì l'opinione pubblica tanto da generare un rinnovato interesse per la preistoria che spinse il monarca a redigere un'apposita legge sui ritrovamenti storici. I due corni vennero conservati per anni nell'archivio del Palazzo di Christianborg – oggi sede del parlamento danese -, e anche il secondo corno venne fatto oggetto di uno studio da parte dell'archivista R. J. Pauli. Il 4 maggio 1802 i corni vennero rubati da qualcuno che si era introdotto nell'archivio grazie a una chiave copiata. Il furto venne scoperto la mattina dopo e fece grande scalpore, anche per la taglia di 1000 rigsdaler immediatamente posta sul capo del furfante. La perdita di questo tesoro nazionale divenne il soggetto di un poema di A.G. Oehlenschläger, lo stesso autore dell'inno nazionale, che diede spinta al Romanticismo e che viene tuttora studiato a scuola, che fece assurgere i due corni a simbolo di identità nazionale e patriottismo.
Andrea Holm, a capo della corporazione degli orefici, sospettò fin da subito di un suo collega di nome Niels Heidenreich, che in passato aveva tentato di rifilargli delle finte monete antiche forgiate con oro misto a ottone. D'accordo con altri orefici decise di tener d'occhio le sue mosse, fino a quando non lo scoprirono disfarsi di alcune monete gettandole in un fossato. Arrestato il 27 aprile del 1803, quasi un anno dopo il misfatto, dopo 4 giorni confessò di aver fuso i corni per riciclare il prezioso metallo. Processato, venne condannato al carcere, dove restò per 37 anni, uscendone nel 1840 e morendo solo 4 anni più tardi. Quelli che avevano comprato l'oro da Heidenreich lo restituirono ma venne trasformato in monete. Nel tempo sono state prodotte diverse copie dei corni, non tutte di grande qualità e anch'esse dall'esistenza travagliata. Le prime furono realizzate in gesso per un cardinale di Roma che le perse in un naufragio. Ne vennero realizzate altre, a volte di dimensioni diverse dagli originali e non sempre fedeli agli originali, altre andarono perse, finendo col creare un certo grado di incertezza sull'esatta fattura dei corni originali. Nel 1979 vennero fatte le copie migliori possibili, in argento dorato, basandosi sui rapporti della polizia del 1804 e su ciò che era sopravvissuto dei disegni dell'epoca. Queste copie vennero rubate nel 2007 dal Museo di Kongernes Jelling e recuperate due giorni dopo, anche se danneggiate. Altre copie, in bronzo dorato e dislocate presso il Museo Moesgaard, subirono la stessa sorte e vennero ritrovate in un bosco, gettate via dai ladri, forse delusi nel scoprire che non erano d'oro puro.
I corni erano costituiti da cilindri d'oro saldati fra di loro e ricoperti da figure più grandi fuse sopra e altre più piccole scolpite. Le raffigurazioni riguardano eventi della mitologia germanica che non hanno eguali in nessun altro ritrovamento, al punto che qualche studioso avanza l'ipotesi che potrebbero avere un'origine diversa, ad esempio celtica, un dubbio instillato anche dal confronto con il Calderone di Gundestrup, sempre in questo museo. In base agli studi più accreditati si ritiene siano stati realizzati da tribù dello Jutland e probabilmente erano usati per bevute rituali e, a cerimonia completata, seppelliti, come fa ritenere il ritrovamento di diversi oggetti nel terreno, anche se in materiali più poveri come legno, vetro, osso e bronzo. Secondo un'altra versione sarebbe stati costruiti dopo l'eclissi solare del 413 come oggetti destinati a evitare l'imminente fine del mondo.
Un altro degli oggetti più importanti, nonché discussi, del museo è il Calderone di Gundestrup, un oggetto comunemente usato all'epoca ma questo, in argento e di pregiata fattura, era sicuramente destinato ad altri scopi. Si tratta di un contenitore alto 42 cm, con un diametro di 69 e cm del peso di 9 kg costituito da 13 pannelli d'argento (5 interni e 7 esterni, di cui uno è andato perduto) e uno che forma il fondo. Non è stato realizzato in Danimarca e si pensa vi sia stato portato come trofeo di guerra o come oggetto rituale dai Cimbri, una tribù celtica che emigrò nella penisola danese nel II secolo a.C., anche se lo stile e la tecnica di lavorazione fanno pensare a un'opera realizzata nell'attuale Bulgaria. Le notevoli decorazioni, eseguite in altorilievo parzialmente dorati, riportano, tra gli altri, la figura del dio celtico Cernunnos, dalle corna di cervo e il collare detto torquis, elementi in comune con una figura presente nei corni d'oro di Gallehus che hanno fatto nascere sospetti di contiguità geografica tra le due opere. La cosa sorprendente delle decorazioni è che evidenziano contatti culturali che vanno dai Balcani fino all'India, quali una dea accompagnata al bagno da elefanti.
Non meno significativo dei precedenti è l'insieme dei reperti della cosiddetta Ragazza di Egtved, resti di una giovane donna, ipoteticamente sui 16/18 anni, bionda, alta 160 cm e dalle unghie ben curate, seppellita assieme ai resti di un bambino cremato di 576 anni di età. Rinvenuta nel 1921 in una bara chiusa che venne portata al Museo e qui aperta, conteneva i resti del corpo della giovane (capelli, denti, unghie e parte del cervello e della pelle) e dei suoi abiti quali un corpetto corto che le lasciava la pancia scoperta - che non mancò di sollevare un certo scalpore nella pudica società degli anni '20 - e una gonna corta con una cintura di lana decorata da un grande disco, che rappresentano l'esempio di abbigliamento dell'età del bronzo più completo e meglio conservato al mondo. Gli studi condotti sui ritrovamenti hanno permesso di datare la sepoltura attorno al 1370 a.C. anche se l'analisi dei resti hanno rivelato che aveva viaggiato molto ma che probabilmente era nata e cresciuta in Germania, il cui confine dista dal luogo di ritrovamento circa un centinaio di km.
Di notevole interesse sono anche alcune pietre runiche, cioè contenenti i caratteri usati dalle antiche popolazioni germaniche come Vichinghi e Goti. La pietra runica di Kingittorsuaq fu, trovata nel 1824 nell'omonima isola dell'arcipelago di Pernavik in Groenlandia, in mezzo a un gruppo di figure che formavano un triangolo equilatero. La pietra è sicuramente di epoca medievale, anche se le possibili datazioni, a seconda delle interpretazioni, variano dal 1135 al 1333. Una parte delle iscrizioni sono composte da caratteri apparentemente senza significato, cosa che ha inevitabilmente fatto nascere la credenza che contenga un messaggio segreto. Non meno significativa è la pietra runica di Snoldelev, alta 1,25 metri e ritrovata a Ramsø nel 1810. È decorata col Triplo Corno di Odino e una svastica (secondo altre fonti sarebbe invece un “nodo borromeo” incompleto), che prima di diventare un emblema tristemente noto era un simbolo propizio per le religioni originarie dell'India e, fin dal Neolotico, anche di molte altre culture, anche italiane.
L'oggetto che forse rimane più impresso per la raffinatezza di esecuzione è il Carro Solare di Trundholm, anch'esso risalente all'età del bronzo e realizzato col metodo della cera persa. Si tratta di una scultura di poco più di mezzo metro di lunghezza che raffigura un cavallo collocato sopra a quattro ruote che trasporta un disco di 25 cm di diametro con un solo lato dorato e decorato con motivi geometrici che potrebbero rappresentarne i raggi, retto da due ruote, anche queste a quattro raggi come le altre. Le popolazioni che lo realizzarono credevano che il sole venisse trasportato lungo il cielo da levante a ponente e che la notte tornasse indietro, ma essendo il lato luminoso del disco voltato dalla parte, la Terra rimanesse al buio. La scultura, che si ritiene risalente al 1600/1800 a.C. (una datazione più precisa come le analisi del polline all'epoca del ritrovamento non era ancora conosciuta e oggi non è ripetibile) è stata trovata nel 1902 nell'isola della Selandia ma anche in questo caso ci sono dubbi sull'origine. Non sono stati trovati oggetti similari in questa zona di quell'epoca, dove invece cominciarono a diventare diffusi almeno cinque secoli più tardi. Anche lo stile delle decorazioni, fa pensare a un oggetto di fattura danubiana, nonostante il museo si dimostri sicuro dell'origine locale.
Non ci sono dubbi invece sull'origine non danese del ragguardevole Epitaffio di Sicilo, una stele di marmo alta 60 cm che riporta la composizione musicale completa più antica al mondo, realizzata probabilmente nel primo secolo d.C. Anche questo reperto non ha avuto vita facile. Venno trovato nel 1883 in Turchia dall'archeologo scozzese Ramsay che la scoprì in casa di Edward Purser, il direttore della ditta privata che vi stava costruendo un tratto di ferrovia, durante i lavori della quale fu casualmente rinvenuto. Ramsay si rese conto subito dell'eccezionalità di quella stele rotta alla base e chiese di poterla studiare, pubblicando i risultati delle sue ricerche. Molto meno impressionati furono invece Purser, o per meglio dire la sua signora, al punto che una decina di anni più tardi decise di pareggiare la base irregolare della stele in modo che potesse stare dritta e fungere da portavasi, un'operazione che distrusse una riga di testo. La stele venne ereditata dal genero che la portò con sé a Smirne ma nel 1922, alla fine della guerra Greco-Turca, era in mano al Console Olandese che ne aveva avuto cura durante il conflitto. Il genere del diplomatico la portò in seguito a l'Aia, dove rimase fino al 1966 quando il Museo Nazionale di Copenaghen l'acquisì.
Di tutt'altro genere ma ugualmente straordinari sono gli archi di Holmegaard, un gruppo di archi semplici risalenti al periodo Mesolitico dell'età della pietra, approssimativamente tra il 10.000 e l'8.000 a.C. Ritrovati anch'essi nella Selandia, sono i più antichi giunti fino a noi. Queste armi, composte da flettenti larghi e paralleli alti tra i 150/170 cm e larghi meno di 6 cm, con una sezione centrale biconvessa come impugnatura e la parte terminale appuntita, erano incredibilmente efficienti e in grado di scagliare le frecce a distanze considerevoli, al punto che sono tutt'ora, ovviamente in versione aggiornata, utilizzati per le gare di tiro con l'arco di tipo flight shooting, in cui vince chi riesce a tirare la freccia più lontana di tutti.
Come se questi eccezionali reperti non fossero sufficienti, il Museo Nazionale non ha mai lesinato sforzi e risorse per far crescere anche la propria collezione etnografica, con oggetti risalenti anche al XVII e XVIII secolo – provenienti dalla Wunderkammer della famiglia reale –, epoche davvero importanti per questo tipo di arte che ha cominciato a essere raccolta sistematicamente solo verso la fine del XIX secolo. Spesso l'interesse di una nazione industrializzata verso la cultura di un paese sottosviluppato è legato a un passato coloniale e la Danimarca non fa eccezione: non avendo avuto colonie particolarmente sviluppate o durature nei continenti in cui il colonialismo si è tradizionalmente sviluppato, la colonia principale della Danimarca è stata la Groenlandia, un territorio di cui conserva le migliori raccolte di reperti al mondo e col quale tutt'ora è in prima linea per conservarne i manufatti. Altre zone da cui sono stati raccolti oggetti importanti sono quelle in cui sono state condotte delle spedizioni etnografiche come il Nord America, l'Asia Centrale e la Mongolia. Vi troverete pertanto navi vichinghe, mummie egizie e maschere africane ma anche una casa Vittoriana dell'Ottocento riprodotta in ogni particolare. Il museo si occupa di archeologia, etnologia, numismatica, etnografia, scienze naturali, conservazione, comunicazione e attività antiquariali in connessione con le chiese del paese, oltre alla gestione dei beni considerati tesori nazionali. Detiene anche la più ricca biblioteca di testi etnografici e antropologici del paese, nonché numerose fotografie e documenti d'epoca.
Accesso
Il maggior edificio del museo, il Palazzo Prinsens del Settecento in origine costruito per il re Federico V, si trova a poca distanza dallo Strøget, la zona pedonale nel centro della capitale danese, ed è facilmente raggiungibile coi mezzi pubblici. Il museo apre dalle 10:00 alle 17:00. Il giorno di chiusura settimanale è il lunedì. Altri giorni di chiusura sono Natale, S. Stefano e S. Silvestro. L'ingresso al museo e a tutte le esibizioni, anche temporanee, è gratuito per tutte le categorie di visitatori e, come da consolidata consuetudine scandinava, è specificamente pensato anche per i più piccoli, con installazioni appositamente studiate e riproduzioni che possono essere toccate e che li faranno sentire partecipi. É disponibile il wi-fi gratuito e le fotografie non solo non sono vietate, ma sono pure caldamente invitate! Sono disponibili tour guidati, per i quali vanno chieste informazioni sul sito del museo (in inglese) en.natmus.dk.
Fra i reperti più significativi del museo vi erano i Corni d'oro di Gallehus, due corni d'oro puro, uno più corto dell'altro, scoperti a Gallehus, nello Jutland, al centro di diverse vicissitudini. Il più lungo dei due - circa 76 cm di lunghezza e 10 cm di diametro, per circa 3,2 kg di peso - venne ritrovato nel 1639 da una contadina che ne vide spuntare un pezzo dal terreno. Ligia, scrisse una lettera al re Cristiano IV il quale lo prelevò e lo affidò al principe che lo fece rimettere a nuovo e l'antiquario Olaus Wormius lo descrisse in uno studio. Quasi un secolo più tardi, precisamente nel 1734, ne venne rinvenuto un altro, a circa 20 metri da dove era stato ritrovato il primo, più corto perché danneggiato e privo di una sezione. Anche in questo caso il ritrovatore lo fece avere il re, il quale lo ricompensò con 200 rigsdaler. Il ritrovamento colpì l'opinione pubblica tanto da generare un rinnovato interesse per la preistoria che spinse il monarca a redigere un'apposita legge sui ritrovamenti storici. I due corni vennero conservati per anni nell'archivio del Palazzo di Christianborg – oggi sede del parlamento danese -, e anche il secondo corno venne fatto oggetto di uno studio da parte dell'archivista R. J. Pauli. Il 4 maggio 1802 i corni vennero rubati da qualcuno che si era introdotto nell'archivio grazie a una chiave copiata. Il furto venne scoperto la mattina dopo e fece grande scalpore, anche per la taglia di 1000 rigsdaler immediatamente posta sul capo del furfante. La perdita di questo tesoro nazionale divenne il soggetto di un poema di A.G. Oehlenschläger, lo stesso autore dell'inno nazionale, che diede spinta al Romanticismo e che viene tuttora studiato a scuola, che fece assurgere i due corni a simbolo di identità nazionale e patriottismo.
Andrea Holm, a capo della corporazione degli orefici, sospettò fin da subito di un suo collega di nome Niels Heidenreich, che in passato aveva tentato di rifilargli delle finte monete antiche forgiate con oro misto a ottone. D'accordo con altri orefici decise di tener d'occhio le sue mosse, fino a quando non lo scoprirono disfarsi di alcune monete gettandole in un fossato. Arrestato il 27 aprile del 1803, quasi un anno dopo il misfatto, dopo 4 giorni confessò di aver fuso i corni per riciclare il prezioso metallo. Processato, venne condannato al carcere, dove restò per 37 anni, uscendone nel 1840 e morendo solo 4 anni più tardi. Quelli che avevano comprato l'oro da Heidenreich lo restituirono ma venne trasformato in monete. Nel tempo sono state prodotte diverse copie dei corni, non tutte di grande qualità e anch'esse dall'esistenza travagliata. Le prime furono realizzate in gesso per un cardinale di Roma che le perse in un naufragio. Ne vennero realizzate altre, a volte di dimensioni diverse dagli originali e non sempre fedeli agli originali, altre andarono perse, finendo col creare un certo grado di incertezza sull'esatta fattura dei corni originali. Nel 1979 vennero fatte le copie migliori possibili, in argento dorato, basandosi sui rapporti della polizia del 1804 e su ciò che era sopravvissuto dei disegni dell'epoca. Queste copie vennero rubate nel 2007 dal Museo di Kongernes Jelling e recuperate due giorni dopo, anche se danneggiate. Altre copie, in bronzo dorato e dislocate presso il Museo Moesgaard, subirono la stessa sorte e vennero ritrovate in un bosco, gettate via dai ladri, forse delusi nel scoprire che non erano d'oro puro.
I corni erano costituiti da cilindri d'oro saldati fra di loro e ricoperti da figure più grandi fuse sopra e altre più piccole scolpite. Le raffigurazioni riguardano eventi della mitologia germanica che non hanno eguali in nessun altro ritrovamento, al punto che qualche studioso avanza l'ipotesi che potrebbero avere un'origine diversa, ad esempio celtica, un dubbio instillato anche dal confronto con il Calderone di Gundestrup, sempre in questo museo. In base agli studi più accreditati si ritiene siano stati realizzati da tribù dello Jutland e probabilmente erano usati per bevute rituali e, a cerimonia completata, seppelliti, come fa ritenere il ritrovamento di diversi oggetti nel terreno, anche se in materiali più poveri come legno, vetro, osso e bronzo. Secondo un'altra versione sarebbe stati costruiti dopo l'eclissi solare del 413 come oggetti destinati a evitare l'imminente fine del mondo.
Un altro degli oggetti più importanti, nonché discussi, del museo è il Calderone di Gundestrup, un oggetto comunemente usato all'epoca ma questo, in argento e di pregiata fattura, era sicuramente destinato ad altri scopi. Si tratta di un contenitore alto 42 cm, con un diametro di 69 e cm del peso di 9 kg costituito da 13 pannelli d'argento (5 interni e 7 esterni, di cui uno è andato perduto) e uno che forma il fondo. Non è stato realizzato in Danimarca e si pensa vi sia stato portato come trofeo di guerra o come oggetto rituale dai Cimbri, una tribù celtica che emigrò nella penisola danese nel II secolo a.C., anche se lo stile e la tecnica di lavorazione fanno pensare a un'opera realizzata nell'attuale Bulgaria. Le notevoli decorazioni, eseguite in altorilievo parzialmente dorati, riportano, tra gli altri, la figura del dio celtico Cernunnos, dalle corna di cervo e il collare detto torquis, elementi in comune con una figura presente nei corni d'oro di Gallehus che hanno fatto nascere sospetti di contiguità geografica tra le due opere. La cosa sorprendente delle decorazioni è che evidenziano contatti culturali che vanno dai Balcani fino all'India, quali una dea accompagnata al bagno da elefanti.
Non meno significativo dei precedenti è l'insieme dei reperti della cosiddetta Ragazza di Egtved, resti di una giovane donna, ipoteticamente sui 16/18 anni, bionda, alta 160 cm e dalle unghie ben curate, seppellita assieme ai resti di un bambino cremato di 576 anni di età. Rinvenuta nel 1921 in una bara chiusa che venne portata al Museo e qui aperta, conteneva i resti del corpo della giovane (capelli, denti, unghie e parte del cervello e della pelle) e dei suoi abiti quali un corpetto corto che le lasciava la pancia scoperta - che non mancò di sollevare un certo scalpore nella pudica società degli anni '20 - e una gonna corta con una cintura di lana decorata da un grande disco, che rappresentano l'esempio di abbigliamento dell'età del bronzo più completo e meglio conservato al mondo. Gli studi condotti sui ritrovamenti hanno permesso di datare la sepoltura attorno al 1370 a.C. anche se l'analisi dei resti hanno rivelato che aveva viaggiato molto ma che probabilmente era nata e cresciuta in Germania, il cui confine dista dal luogo di ritrovamento circa un centinaio di km.
Di notevole interesse sono anche alcune pietre runiche, cioè contenenti i caratteri usati dalle antiche popolazioni germaniche come Vichinghi e Goti. La pietra runica di Kingittorsuaq fu, trovata nel 1824 nell'omonima isola dell'arcipelago di Pernavik in Groenlandia, in mezzo a un gruppo di figure che formavano un triangolo equilatero. La pietra è sicuramente di epoca medievale, anche se le possibili datazioni, a seconda delle interpretazioni, variano dal 1135 al 1333. Una parte delle iscrizioni sono composte da caratteri apparentemente senza significato, cosa che ha inevitabilmente fatto nascere la credenza che contenga un messaggio segreto. Non meno significativa è la pietra runica di Snoldelev, alta 1,25 metri e ritrovata a Ramsø nel 1810. È decorata col Triplo Corno di Odino e una svastica (secondo altre fonti sarebbe invece un “nodo borromeo” incompleto), che prima di diventare un emblema tristemente noto era un simbolo propizio per le religioni originarie dell'India e, fin dal Neolotico, anche di molte altre culture, anche italiane.
L'oggetto che forse rimane più impresso per la raffinatezza di esecuzione è il Carro Solare di Trundholm, anch'esso risalente all'età del bronzo e realizzato col metodo della cera persa. Si tratta di una scultura di poco più di mezzo metro di lunghezza che raffigura un cavallo collocato sopra a quattro ruote che trasporta un disco di 25 cm di diametro con un solo lato dorato e decorato con motivi geometrici che potrebbero rappresentarne i raggi, retto da due ruote, anche queste a quattro raggi come le altre. Le popolazioni che lo realizzarono credevano che il sole venisse trasportato lungo il cielo da levante a ponente e che la notte tornasse indietro, ma essendo il lato luminoso del disco voltato dalla parte, la Terra rimanesse al buio. La scultura, che si ritiene risalente al 1600/1800 a.C. (una datazione più precisa come le analisi del polline all'epoca del ritrovamento non era ancora conosciuta e oggi non è ripetibile) è stata trovata nel 1902 nell'isola della Selandia ma anche in questo caso ci sono dubbi sull'origine. Non sono stati trovati oggetti similari in questa zona di quell'epoca, dove invece cominciarono a diventare diffusi almeno cinque secoli più tardi. Anche lo stile delle decorazioni, fa pensare a un oggetto di fattura danubiana, nonostante il museo si dimostri sicuro dell'origine locale.
Non ci sono dubbi invece sull'origine non danese del ragguardevole Epitaffio di Sicilo, una stele di marmo alta 60 cm che riporta la composizione musicale completa più antica al mondo, realizzata probabilmente nel primo secolo d.C. Anche questo reperto non ha avuto vita facile. Venno trovato nel 1883 in Turchia dall'archeologo scozzese Ramsay che la scoprì in casa di Edward Purser, il direttore della ditta privata che vi stava costruendo un tratto di ferrovia, durante i lavori della quale fu casualmente rinvenuto. Ramsay si rese conto subito dell'eccezionalità di quella stele rotta alla base e chiese di poterla studiare, pubblicando i risultati delle sue ricerche. Molto meno impressionati furono invece Purser, o per meglio dire la sua signora, al punto che una decina di anni più tardi decise di pareggiare la base irregolare della stele in modo che potesse stare dritta e fungere da portavasi, un'operazione che distrusse una riga di testo. La stele venne ereditata dal genero che la portò con sé a Smirne ma nel 1922, alla fine della guerra Greco-Turca, era in mano al Console Olandese che ne aveva avuto cura durante il conflitto. Il genere del diplomatico la portò in seguito a l'Aia, dove rimase fino al 1966 quando il Museo Nazionale di Copenaghen l'acquisì.
Di tutt'altro genere ma ugualmente straordinari sono gli archi di Holmegaard, un gruppo di archi semplici risalenti al periodo Mesolitico dell'età della pietra, approssimativamente tra il 10.000 e l'8.000 a.C. Ritrovati anch'essi nella Selandia, sono i più antichi giunti fino a noi. Queste armi, composte da flettenti larghi e paralleli alti tra i 150/170 cm e larghi meno di 6 cm, con una sezione centrale biconvessa come impugnatura e la parte terminale appuntita, erano incredibilmente efficienti e in grado di scagliare le frecce a distanze considerevoli, al punto che sono tutt'ora, ovviamente in versione aggiornata, utilizzati per le gare di tiro con l'arco di tipo flight shooting, in cui vince chi riesce a tirare la freccia più lontana di tutti.
Come se questi eccezionali reperti non fossero sufficienti, il Museo Nazionale non ha mai lesinato sforzi e risorse per far crescere anche la propria collezione etnografica, con oggetti risalenti anche al XVII e XVIII secolo – provenienti dalla Wunderkammer della famiglia reale –, epoche davvero importanti per questo tipo di arte che ha cominciato a essere raccolta sistematicamente solo verso la fine del XIX secolo. Spesso l'interesse di una nazione industrializzata verso la cultura di un paese sottosviluppato è legato a un passato coloniale e la Danimarca non fa eccezione: non avendo avuto colonie particolarmente sviluppate o durature nei continenti in cui il colonialismo si è tradizionalmente sviluppato, la colonia principale della Danimarca è stata la Groenlandia, un territorio di cui conserva le migliori raccolte di reperti al mondo e col quale tutt'ora è in prima linea per conservarne i manufatti. Altre zone da cui sono stati raccolti oggetti importanti sono quelle in cui sono state condotte delle spedizioni etnografiche come il Nord America, l'Asia Centrale e la Mongolia. Vi troverete pertanto navi vichinghe, mummie egizie e maschere africane ma anche una casa Vittoriana dell'Ottocento riprodotta in ogni particolare. Il museo si occupa di archeologia, etnologia, numismatica, etnografia, scienze naturali, conservazione, comunicazione e attività antiquariali in connessione con le chiese del paese, oltre alla gestione dei beni considerati tesori nazionali. Detiene anche la più ricca biblioteca di testi etnografici e antropologici del paese, nonché numerose fotografie e documenti d'epoca.
Accesso
Il maggior edificio del museo, il Palazzo Prinsens del Settecento in origine costruito per il re Federico V, si trova a poca distanza dallo Strøget, la zona pedonale nel centro della capitale danese, ed è facilmente raggiungibile coi mezzi pubblici. Il museo apre dalle 10:00 alle 17:00. Il giorno di chiusura settimanale è il lunedì. Altri giorni di chiusura sono Natale, S. Stefano e S. Silvestro. L'ingresso al museo e a tutte le esibizioni, anche temporanee, è gratuito per tutte le categorie di visitatori e, come da consolidata consuetudine scandinava, è specificamente pensato anche per i più piccoli, con installazioni appositamente studiate e riproduzioni che possono essere toccate e che li faranno sentire partecipi. É disponibile il wi-fi gratuito e le fotografie non solo non sono vietate, ma sono pure caldamente invitate! Sono disponibili tour guidati, per i quali vanno chieste informazioni sul sito del museo (in inglese) en.natmus.dk.